ALESSANDRO DELL’ACQUA,
Dieci anni fa Alessandro Dell’Acqua veniva costretto a dire addio al suo brand. Oggi la sua nuova linea vola e lui ha fatto pace con il passato: qui racconta come.
La storia, o meglio la cronaca, della moda contemporanea è piena di designer che a un certo punto del proprio percorso si sono visti legalmente privati del nome, allontanati ex abrupto da progetti fatti crescere con sacrificio e dedizione. L’arrivo di un partner finanziario, indispensabile alla crescita e allo sviluppo, è salvifico, ma può presto trasformarsi in maledizione. È successo ad Alessandro Dell’Acqua, direttore creativo di No21 – realtà in rapida crescita nello stagnante panorama italiano. Dal 2007, Dell’Acqua non può firmare per esteso le proprie creazioni: la linea eponima, ancora in vita e commercialmente distribuita, non gli appartiene più. È una situazione paradossale, kafkiana come molti affari legati alla giurisprudenza. «L’equivoco mi rende furioso», dice lo stilista. Per anni, Dell’Acqua ha messo in atto una vigorosa operazione di rimozione su questioni tanto personali e delicate, convinto che rimpiangere l’irreparabile fosse solo un modo per impedire alla ferita di rimarginarsi. Oggi, invece, è pronto a parlare, e lo fa con la schiettezza sanguigna del partenopeo appassionato che alle avversità del destino ha opposto caparbietà e determinazione. Non a caso, lo incontriamo nella sua nuova casa professionale, da poco inaugurata: Domicilio Ventuno, maison nel senso più tradizionale e modaiolo del termine, ubicata nel cuore di un quartiere milanese autentico perché non ancora del tutto gentrificato, tra piazza Cinque Giornate e piazza Tricolore. L’ufficio al piano attico, con la porta sempre aperta per intenzione programmatica e dichiarazione poetica, è luminoso e accogliente. Alle pareti, per tornare all’argomento di partenza, sono le indimenticabili immagini di alcune campagne Alessandro Dell’Acqua scattate da maestri dell’obiettivo quali Helmut Newton e Juergen Teller.