PIÙ VERO DEL VERO,
Paradossi digitali: sui social media devo apparire perfetto? Allora creo un secondo account in cui posso essere realmente me stesso: giù la maschera, ecco i FINSTA.
Uno spazio online sicuro, privato, dove abbandonare la versione ufficiale di noi, quella che presentiamo al mondo, felice e perfetta come richiedono le regole d’ingaggio dei social media. Per questo nascono i “finsta”: parola che nasce dall’unione di fake e Instagram, e indica quegli account anonimi, dietro cui persone più o meno famose nascondono la propria vita “vera”, non artefatta ad uso della propria social community. Postare su un finsta significa condividere i pensieri più intimi solo con gli amici cari – meme sulla depressione, fotografie in cui siamo venuti malissimo, screenshot di messaggi su Grindr, messaggi privati osceni –, senza pensare o badare all’estetica, al timing del post, alla quantità di like o a che cosa pensano gli altri. Con i finsta, ovviamente, l’anonimato è fondamentale. I nickname devono essere abbastanza ambigui perché il pubblico generico non sappia a chi corrispondono, ma abbastanza identificabili perché gli amici lo capiscano. Il peggior incubo dei finsta è uno screenshot indesiderato (negli ultimi mesi sono stati scoperti numerosi account di celebrities come @skylarktylark_ di Justin Bieber e @rebekkaharajuku di Bella Hadid). Quando Instagram è stato lanciato, il concetto era semplice: si condivideva visivamente la propria giornata con gli amici. Ma con il rischio che certi post scandalosi, riemersi dal passato, potessero rovinare una carriera, la Gen Z si è adattata ai tempi, ritagliandosi uno spazio digitale privo di ripercussioni. Il lato negativo: creando un’identità alternativa e un account secondario, giustifichiamo l’idea di avatar contro cui cerchiamo di combattere. Se il nostro finsta è la nostra vera identità, allora quella “falsa” è il nostro account principale. •