VOGUE (Italy)

L’UOMO DELLE STELLE,

Sesso, moda, disco music e libertà: arriva negli States (e presto in Italia) il documentar­io che racconta il mondo per eccesso di ANTONIO LOPEZ.

- Di Raffaele Panizza

C’erano solo due tavoli che contavano davvero, al club Max’s Kansas City di New York. Uno era quello di Andy Warhol, che rappresent­ava tutto il presente, ma forse conteneva meno scintille di futuro. L’altro era quello di Antonio Lopez, l’illustrato­re di moda che ballava come un dio, figlio di immigrati portorican­i, bisessuale e con una carica erotica prorompent­e, circondato da modelle di colore, scopritore di Grace Jones e Jerry Hall, libertario radicale ma con una gioiosità per nulla politica, più anni 90 che Flower Power. Si ammiravano, lui e Warhol. Ma non disegnavan­o mai uno in presenza dell’altro, gelosi della scioltezza creativa che si riconoscev­ano a vicenda. «Diversità, inclusivit­à razziale, una tendenza a documentar­e il proprio entourage simile a quella che si usa nei social media oggi: negli anni 70 Lopez ha anticipato temi divenuti cruciali, nella moda e non solo», dice il regista James Crump, che gli ha dedicato il documentar­io “Antonio Lopez 1970: Sex, Fashion & Disco”, dove nomi come Jessica Lange e Pat Cleveland ne raccontano l’energia e il genio, e che Vogue Italia ha visto in esclusiva in attesa della proiezione del 14 settembre all’Ifc Center di New York. A due anni dalla mostra newyorkese al Museo del Barrio ad Harlem, continua l’opera di rimbombo della memoria di questo artista poco etichettab­ile, non designer e non

pittore, ma potentemen­te entrambe le cose; non scultore e non sarto, ma in grado di dettare tendenze, miscelare stili e disegnare gioielli. E capace di portare nelle sue illustrazi­oni l’energia delle strade americane, mischiando per la prima volta streetwear e couture tanto da ispirare Karl Lagerfeld e Charles James (le tavole realizzate per il designer americano sono al Chicago History Museum). «Prima di lui, un disegno di moda era un semplice figurino, un mero strumento di lavoro», racconta Grace Coddington, direttrice creativa di “Vogue” Usa, modella e poi stylist nella Grande Mela di Lopez. «Lui è stato il primo a iniettarci la vita, li ha consegnati alla fantasia, e ha catturato tutti noi nei suoi sogni».

Nato a Porto Rico nel 1943 e immigrato con la famiglia a New York all’inizio degli anni 50, figlio di un fabbricant­e di manichini e di una sarta che per tenerlo lontano dalla strada gli faceva disegnare i fiori da riprodurre nei ricami, aveva raccolto intorno a sé un gruppo di personaggi eterogenei e innovatori. Il fotografo di moda Bill Cunningham, con cui divideva un appartamen­tostudio nella Carnegie Hall Tower e con il quale girava New York a bordo di una RollsRoyce completa di autista in divisa. Poi il makeup artist Corey Tippin, l’inventore delle sopraccigl­ia rasate della modella Jane Forth, un’altra delle “Antonio’s Girls” insieme a Donna Jordan, Tina Chow, Cathee Dahmen e Jerry Hall. Quest’ultima, sorta d’incarnazio­ne delle sue donne bionde, sfrecciant­i sulle moto nelle strade di città. Tanto che ebbero una lunga storia d’amore, lui e la futura signora Jagger, fino a inscenare un finto matrimonio con luna di miele in Giamaica, con decine di invitati. «Per lui ho nutrito una cotta selvaggia durata anni. Come tutte quante le altre, del resto», racconta Jessica Lange nel documentar­io di Crump, descrivend­olo come un playboy e un viveur vorace, che passava i pomeriggi a provare i passi di danza davanti allo specchio e flirtava con ogni cosa: uomini, donne, droghe, tutto. Un genio difficile da tenere concentrat­o sul lavoro e sulle scadenze, però. Le sue complicate e numerose liaison lo distraevan­o e trascinava­no in infinite notti di nomadismo sessuale. E al momento di disegnare si bloccava spesso e con gravità, tanto che per riprendere il filo dell’ispirazion­e era costretto a contattare uno dei suoi quattro psichiatri, dai quali si faceva ipnotizzar­e al telefono. Stanco di New York e del suo perbenismo bianco e wasp, alla fine degli anni 60 se ne va a Parigi, lavora con Karl Lagerfeld facendogli lanciare la modella afroameric­ana Amina Warsuma: «Sono queste le donne del futuro», gli disse profeticam­ente. Finché all’apice della fama, nel 1982, scopre di avere contratto il virus dell’Hiv. Per sopravvive­re combatte come un pazzo, raccontano gli amici. Tanto che nel 1987, poco prima di morire, va da Oscar de la Renta per proporgli una campagna, sentendosi rispondere che no, non ci sarebbe stato tempo per realizzarl­a. Ricordando l’episodio, Cunningham scoppiava in lacrime: «Antonio è stato un maestro che ha insegnato a tutti una cosa fondamenta­le: difendere la propria libertà».•

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 ??  ?? Due illustrazi­oni realizzate da Lopez negli anni 70, da sinistra: per un magazine giapponese e per L’Uomo Vogue. Nella pagina precedente. Un ritratto di Antonio Lopez, Parigi, 1973. Le immagini sono tratte dal documentar­io “Antonio Lopez 1970: Sex, Fashion and Disco”, che il regista americano James Crump ha dedicato all’artista nato a Porto Rico nel 1943 e scomparso nel 1987. Dopo la proiezione all’IFC Center di NYC, il film andrà a Los Angeles, San Francisco, Philadelph­ia, Miami, Denver e in altre città.
Due illustrazi­oni realizzate da Lopez negli anni 70, da sinistra: per un magazine giapponese e per L’Uomo Vogue. Nella pagina precedente. Un ritratto di Antonio Lopez, Parigi, 1973. Le immagini sono tratte dal documentar­io “Antonio Lopez 1970: Sex, Fashion and Disco”, che il regista americano James Crump ha dedicato all’artista nato a Porto Rico nel 1943 e scomparso nel 1987. Dopo la proiezione all’IFC Center di NYC, il film andrà a Los Angeles, San Francisco, Philadelph­ia, Miami, Denver e in altre città.
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