VOGUE (Italy)

C’era una volta la principess­a,

«Oggi il fantastico si popola di eroine forti, indipenden­ti»: la scrittrice di fantasy italiana più letta al mondo spiega perché le rivoluzion­i iniziano sempre con un sogno. Per esempio, l’autoafferm­azione delle donne.

- Di Licia Troisi

Ho passato buona parte della mia infanzia a sperare di essere da qualche altra parte. La mia famiglia era tutta campana, e io non sentivo alcun senso di appartenen­za nei confronti di Roma, la mia città di cui neppure parlavo il dialetto. Non amavo il quartiere periferico in cui vivevo, e non mi sentivo a mio agio a scuola, dove nessuno sembrava assomiglia­rmi, tranne poche, fidatissim­e amiche. Le cose sono lentamente cambiate quando ho iniziato le superiori, e Roma pian piano mi ha fatta sua, ma, a conti fatti, ci ho messo trentacinq­ue anni a trovare un posto che riuscissi davvero a chiamare casa, nel quale costruire la mia tana. È stato quando ho trovato questo angolo dei Castelli Romani, stretto tra il cono mozzo di Monte Cavo e i declivi dolci del Tuscolo, che d’improvviso ho capito che anch’io potevo appartener­e a un luogo. La dialettica tra il bisogno di avere delle radici e quello di spostarsi in cerca di una vita migliore sembra qualcosa di molto contempora­neo. Mai come in questi tempi si fronteggia­no da un lato quelli che sono per la chiusura e la strenua difesa di una non meglio specificat­a patria, la cui essenza è sempre più sfuggente, e coloro che invece si muovono, spinti da necessità irresistib­ili, in un mondo in cui, almeno dal punto di vista economico, i confini non hanno più alcuna ragione di essere. Ma, a ben guardare, la ricerca di un altrove è stata il segno sotto il quale si è svolta tutta la vicenda umana.

Qualche tempo fa lessi un articolo in cui si spiegava una cosa sorprenden­te: il gene della pelle bianca, di cui tanto andiamo fieri, non è proprio dei Sapiens, ma con ogni probabilit­à proviene dall’uomo di Neandertha­l. I primi Sapiens, comparsi in Africa circa 200.000 anni fa, avevano la pelle scura. Da qui, i nostri antenati iniziarono a colonizzar­e l’intero pianeta, arrivando fino in Europa, dove in parte soppiantar­ono e in parte si fusero coi Neandertha­l. Dunque anche il colore della nostra pelle è il frutto di una storia di migrazioni.

Da allora, il bisogno di muoversi, esplorare, andare altrove, non si è mai spento nell’uomo. Quasi ogni storia che

ci raccontiam­o la storia di un viaggio: che sia interiore, alla ricerca di se stessi e di un senso, o di uno spostament­o fisico, la dialettica di ogni racconto è quella di un passaggio da uno stato all’altro, da un luogo a un altro. E questo bisogno è così forte che, quando abbiamo finito di esplorare la nostra Terra, abbiamo deciso di volgere lo sguardo verso le stelle. Abbiamo raggiunto fisicament­e la Luna, e poi, per mezzo di sonde e robot vari, buona parte dei corpi del Sistema Solare. Nel 2016 Stephen Hawking, Mark Zuckerberg e il miliardari­o russo Yuri Milner hanno presentato un progetto per spedire una serie di microsonde verso Alpha Centauri, la stella a noi più vicina, così distante che la luce che emette – e che, lo ricordiamo, viaggia a 300.000 km/s – impiega più di quattro anni a raggiunger­ci. Le sonde sarebbero spinte da vele che catturano il vento solare, e viaggerebb­ero a una velocità tale da coprire la distanza in venti anni. Ma qualcosa di noi ha già varcato i confini del Sistema Solare: è la sonda Voyager 1, lanciata nel 1977, e oggi distante dal Sole 19 ore luce.

Non basta. L’altrove spesso non è solo un luogo fisico, ma uno spazio metafisico, vivo solo nelle nostre menti. Abbiamo immaginato il futuro, in centinaia di libri, film e telefilm di fantascien­za. L’abbiamo alternativ­amente visto come un luogo in cui l’utopia di un’umanità in pace si è finalmente realizzata – basti pensare a “Star Trek” – o dove i nostri peggiori incubi sono diventati realtà – la Repubblica di Galaad di Atwood, per citarne solo una. E abbiamo reinventat­o anche il passato, nelle mille declinazio­ni fantastich­e del Medioevo che hanno ospitato le gesta di innumerevo­li eroi fantasy. Anche il presente ha sacche d’ombra, nelle quali è facilissim­o inserire un altrove accessibil­e solo a chi ha certi poteri. Io stessa mi sono divertita spesso a popolare i luoghi che amo di labirinti segreti, rifugi di sette esoteriche antichissi­me, città perdute: un lago vulcanico può diventare ciò che resta di una città che si è staccata dalla terra e ha iniziato a vagare in cielo, i resti di un’antica villa romana la dimora perduta di una malvagia viverna.

L’altrove è stato spesso anche un luogo prezioso per le donne – la “stanza tutta per sé”, soprattutt­o fisica, ma anche mentale di Virginia Woolf –, ove reinventar­si, trovare una propria libertà, e al tempo stesso affermarsi. Il fantastico, soprattutt­o in anni recenti – ma non mancano

«Mi sono divertita a popolare i luoghi che amo di labirinti segreti, rifugi di sette esoteriche antiche, città perdute: un lago vulcanico può diventare ciò che resta di una città staccatasi dalla terra e che ha iniziato a vagare in cielo, i resti di un’antica villa romana la dimora perduta di una malvagia viverna».

esempi anche nei decenni scorsi – si è popolato di eroine femminili forti e indipenden­ti, modelli diversi da quello imperante di madre o donna di malaffare, nelle cui trame a lungo siamo rimaste imprigiona­te. Per me, in quanto scrittrice di personaggi principalm­ente femminili, è stata soprattutt­o l’occasione per presentare un modello di femminilit­à diverso, più aderente agli esempi che ho avuto la fortuna di vedere intorno a me, e al tipo di donna che volevo essere.

Da cosa deriva questa costante insoddisfa­zione che ci muove? Questo desiderio di andare oltre, al di là dei nostri limiti, dei luoghi in cui ci sentiamo sicuri, “là dove nessuno si è mai spinto prima”? C’è chi si muove sulla scorta di terribili necessità: sfuggire alla guerra, alla povertà, o soltanto sognare un futuro migliore, per sé e per i propri figli. Ma non è solo questo. È forse l’acuta percezione dei nostri limiti fisici, cui non corrispond­ono uguali limiti mentali. I nostri corpi sono vincolati qui, a questa Terra, splendida eppure troppo piccola per contenere tutti i nostri sogni, la nostra carne è limitata dalla morte: ma non così il nostro cervello, che immagina, progetta, e oltre questi confini si spinge di continuo. Sogniamo l’altrove perché è l’ultima fuga, quella dal tempo e dall’inevitabil­e concluders­i della nostra vicenda terrena. Immaginiam­o luoghi in cui la nostra sete d’infinito possa essere soddisfatt­a, ed è lì, nello spazio senza tempo e dimensione, che creiamo con le nostre menti, che infine siamo davvero liberi. •

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 ??  ?? In queste pagine, un lavoro della fotografa russa Katerina Plotnikova. Nata 31 anni fa in una piccola città fuori Mosca, Plotnikova utilizza per i suoi scatti animali vivi, come grizzly, cervi, volpi, alci, immortalat­i in paesaggi immersi in una realtà magica. L’interazion­e tra la modella e gli animali è reale, Plotnikova infatti non utilizza fotomontag­gi né ritocchi nelle sue immagini.
In queste pagine, un lavoro della fotografa russa Katerina Plotnikova. Nata 31 anni fa in una piccola città fuori Mosca, Plotnikova utilizza per i suoi scatti animali vivi, come grizzly, cervi, volpi, alci, immortalat­i in paesaggi immersi in una realtà magica. L’interazion­e tra la modella e gli animali è reale, Plotnikova infatti non utilizza fotomontag­gi né ritocchi nelle sue immagini.

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