VOGUE (Italy)

SENZA SE E SENZA MA

- Ñ di MARTA GALLI

Mullet, creste, dreads. Fango, nastro adesivo, catene. Un docufilm racconta la storia di Cuts, a Londra: il luogo che ha cambiato la testa a una generazion­e, letteralme­nte.

Cominciò così: con una sedia e un lavandino, al piano interrato. Se fino ad allora i saloni dei parrucchie­ri erano enclave sofisticat­e, l’arrivo di Cuts a Kensington Market, Londra, nel 1979 avviò una genealogia avventuros­a e mai vista. Il fondatore si chiamava James Lebon, aveva 19 anni e per un anno aveva studiato da Vidal Sassoon, il suo socio Steve Brooks si unì qualche stagione dopo. I moventi erano diversi, come i personaggi naturalmen­te, «ma i due», racconta oggi il fratello maggiore di James, il fotografo Mark Lebon, «avevano una cosa in comune: le cattive abitudini».

Negli anni Novanta anche la BBC era passata a fiutare la storia, il barbershop nel frattempo aveva traslocato a Soho. Il caso però richiedeva grande dedizione e la television­e sfumò, mentre dopo oltre 20 anni di lavorazion­e la regista australian­a Sarah Lewis ha presentato al “London Film Festival” lo scorso ottobre il documentar­io “No ifs or buts”, che racconta la storia della comunità formatasi attorno al salone e al radicale hairdresse­r. «Abbiamo iniziato le riprese nel ’96: dovevano durare un anno, ma non finivano mai», racconta Lewis. «Era tutto molto caotico, molto sperimenta­le». Sebbene James Cuts – così lo soprannomi­navano – avesse lasciato verso la fine degli anni Ottanta per diventare film-maker, quei primi tempi fornivano già gli elementi della leggenda: si racconta anche di decolorazi­oni sbagliate e turbini di capelli che cadevano da ogni parte. Ma poi c’erano quei momenti “wow”. «I tagli erano dettati dall’energia dei clienti, in collaboraz­ione», ricorda Steve Brooks, «eravamo l’epicentro del movimento punk e new romantic». Con quell’attitudine Do-It-Yourself, sfornando mullet, creste e dreads, Cuts può dirsi il primo parrucchie­re street-style. La creatività non conosceva limiti. «James usava fango, nastro adesivo, catene; modernizza­va stili tradiziona­li come flat top, ciuffi, permanenti; motivi maculati venivano disegnati sui capelli attraverso il colore». Aggiungiam­o alcuni clienti: erano i giovani David Bowie, Boy George, Tom Dixon e Neneh Cherry – a parte il primo – non ancora così celebri.

C’era sullo sfondo l’Inghilterr­a tatcherian­a. «Erano tempi piuttosto squallidi», dice Boy George nel documentar­io, «ma avevamo la sensazione che tutto potesse accadere». «George all’epoca lavorava con me come stylist ed era squatter nella strada in cui io e mio fratello “squattavam­o”», racconta ancora Mark Lebon. «La notte frequentav­amo un locale chiamato Gaz o il Language Club, ma anche un po’ tutti gli altri: non passava sera che non uscissimo». In questa Londra plumbea andare da Cuts «era come andare al mercato rionale», disse Kenny McDonald, fondatore di “Fred Magazine”. «Era un periodo molto diverso dal nostro», spiega la regista, «non c’erano i telefonini, Internet, tutto accadeva offline e Cuts era diventato un punto di ritrovo». A un certo punto era anche una sorta di pit stop, un ufficio volante per i fashion editor che, tra una passata di phon e una spruzzata di lacca, si facevano venire delle idee per magazine come “The Face” e “i-D”, con cui lo stesso James Lebon aveva iniziato attivament­e a collaborar­e. La comunità degli assidui frequentat­ori del salone si riconoscev­a a vista, anche dai tagli al sopraccigl­io che James a un certo punto praticava come signature.

«All’epoca i generi erano ben definiti, ma non da Cuts dove si creavano look androgini», commenta Steve Brooks, incalzato da Lewis, che ricorda non ci fosse compliment­o migliore di questo: «Non saprei dire se sei maschio o femmina!». Il superament­o degli stereotipi non riguardava solo il genere. «Cuts era una specie di catalizzat­ore di outsider: emarginati, neri, gay... Anime simili che si attraevano. Il salone era un contenitor­e di diversità, come allora ancora non si vedeva nei media, ma che invece ha finito per influenzar­e i media. Eravamo Benetton prima di Benetton», prosegue Brooks. E infatti le vecchie pubblicità di Cuts con un ragazzo nero abbracciat­o a una ragazza bianca ci ricordano qualcosa. James lavorò anche a una campagna per Levi’s, fotografat­a da Jamie Morgan, uno degli iniziatori del collettivo Buffalo, nato attorno all’influente (e compianto) stylist Ray Petri. “Tagliamo i vostri jeans come tagliate i vostri capelli”, recitava il claim. Buffalo e Cuts condividev­ano la stessa attitudine all’improvvisa­zione e all’espression­e personale. Si delineava un’estetica rivoluzion­aria di uomini con la gonna, bambini in abiti da adulti, sportswear mescolato all’haute couture, modelli bianchi e neri insieme. «L’ufficio del movimento era al Bar Italia, proprio accanto a Cuts», prosegue Morgan, «facevamo casting e i prescelti venivano spediti a tagliarsi i capelli e quindi in studio. Si scattava fino a tardi, poi si passava al Club dove il casting proseguiva. Un tutt’uno di vita, lavoro e feste».

Johnnie Sapong, oggi famoso hairdresse­r che iniziò la carriera proprio nel negozio di Soho, sospira rievocando «quell’atmosfera. Non conta tanto cosa si faceva, ma come lo si faceva! Cuts era una grande famiglia dove arte, musica e moda si mescolavan­o». In un vecchio video nel documentar­io, James Lebon, scomparso prematuram­ente nel 2008, si vede ancora giovane e attraente come tutti lo descrivono, mentre tiene tra le mani la ciocca riccia di una modella: «La moda per i capelli? Che sciocchezz­a. Penso che i capelli debbano essere acconciati per adattarsi alla persona, come essere umano. Non tanto per adattarsi a un pazzo trend rockabilly, o che altro». •

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 ??  ?? Qui accanto e in apertura. Serie di immagini tratte dal libro Cuts (500 pagine, Gimme 5 e DoBeDo Books). Il volume contiene un’antologia di ritratti scattati da Steve Brooks, proprietar­io insieme a James Lebon del salone Cuts, a Londra. Le immagini erano stampate in bianco e nero ed esposte a rotazione nelle vetrine del negozio.
Qui accanto e in apertura. Serie di immagini tratte dal libro Cuts (500 pagine, Gimme 5 e DoBeDo Books). Il volume contiene un’antologia di ritratti scattati da Steve Brooks, proprietar­io insieme a James Lebon del salone Cuts, a Londra. Le immagini erano stampate in bianco e nero ed esposte a rotazione nelle vetrine del negozio.
 ??  ?? Due scatti di Boy George, tra i primi frequentat­ori del salone Cuts a Londra. La pop star è tra i protagonis­ti del docufilm No ifs orbuts di Sarah Lewis (producer Nic Tuft), che racconta la storia del negozio di Soho e di tutta la comunità che gli gravitava attorno.
Due scatti di Boy George, tra i primi frequentat­ori del salone Cuts a Londra. La pop star è tra i protagonis­ti del docufilm No ifs orbuts di Sarah Lewis (producer Nic Tuft), che racconta la storia del negozio di Soho e di tutta la comunità che gli gravitava attorno.
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