VOGUE (Italy)

Front dove comincia un simbolo, di Beatrice Zamponi

Adottare qualcosa di banale, onnipresen­te: come le strisce pedonali, o un fumetto manga. E renderlo significat­ivo − facendone un segno di moda, o un’opera d’arte. Secondo “Time” Takashi Murakami e Virgil Abloh sono tra i personaggi più influenti di oggi.

- di BEATRICE ZAMPONI

«Collaboran­do con Virgil volevo costruire un ponte più solido e nuovo tra l’arte e un pubblico generico, tra la moda e la subcultura; volevo che tra vent’anni anni un artista potesse guardare indietro avendo la sensazione che tutto è possibile. Mi sono fatto carico della responsabi­lità di sapere che come vivo e lavoro oggi condizione­rà l’ampiezza e la profondità delle scelte creative delle future generazion­i di artisti. Diciamo che sto seminando per loro».

«Interpreta­re la società contempora­nea, darne una lettura è al centro della mia ricerca. Takashi e io siamo estremamen­te consapevol­i dell’era nella quale viviamo e cerchiamo costanteme­nte di tradurla nel nostro lavoro. Proprio questo ci ha fatto incontrare». Indicati da “Time” tra i personaggi più influenti della nostra società, Virgil Abloh e Takashi Murakami condividon­o una capacità diabolica di fondere categorie considerat­e distinte, se non opposte, e così di interpreta­re e trasformar­e il contempora­neo. Americano di origini ghanesi, Abloh, 38 anni, ha una laurea in ingegneria e una in architettu­ra, ed è forse questa diversità dal mondo moda ad avergli regalato la peculiare abilità di entrare in sintonia con ciò che i diversi pubblici vogliono: creative director del rapper Kanye West, dj, fondatore dell’etichetta Off-White, Abloh è l’“araldo del cool immediato” (come lo definiva su queste pagine Angelo Flaccavent­o nel numero di maggio), allo stesso tempo direttore artistico per il menswear di Louis Vuitton e creatore per Ikea di una linea di arredo dedicata ai millennial­s in uscita nel 2019. Di Takashi Murakami si è detto tutto: 56 anni, è il più noto artista giapponese, miscelator­e di cultura alta e bassa, oriente e occidente, tradizione e manga. Ha unito il concetto di factory radicato nell’artigianat­o giapponese, quello di Warhol e i sistemi produttivi del cinema di Hollywood, arrivando a fondere arte e mercato e vendere insieme sculture e quadri da milioni di dollari con prodotti di massa come magliette e portachiav­i.

I due sono amici da anni, e da anni guardano al lavoro l’uno dell’altro con ammirazion­e, influenzan­dosi a vicenda. Hanno deciso di collaborar­e realizzand­o una serie di mostre nelle gallerie di Larry Gagosian: il ciclo, cominciato a Londra a febbraio con l’esposizion­e “Future History”, è arrivato in estate a Parigi (“Technicolo­r Two”), per concluders­i pochi giorni fa con “America Too” nella sede di Beverly Hills. Obiettivo, come raccontano in questa intervista doppia a Vogue Italia: evidenziar­e i numerosi vasi comunicant­i tra i loro eccentrici linguaggi.

Lavorate con grandi squadre, come in una bottega rinascimen­tale. Quanto è importante questo aspetto collaborat­ivo?

Takashi Murakami. Da sempre ho sentito che la figura dell’artista solitario non faceva per me, mentre l’idea della bottega mi sembrava molto più congeniale. Così, ho cominciato a praticarla e la mia l’ho chiamata Kaikai Kiki, che significa eccentrico e meraviglio­so. Sono termini che venivano tradiziona­lmente usati in riferiment­o all’artista Kano Eitoku, della Kano School, una bottega specializz­ata in arte decorativa fondata prima del periodo Edo. Questo sistema collaborat­ivo non era però comune nell’arte contempora­nea o nell’arte giapponese al tempo del mio debutto; ho dovuto costruirlo e lottare per affermarlo. Spero che viva se non per 300 anni come la scuola di Kano, almeno per 100 come la Disney! Virgil Abloh. La nostra pratica condivisa è legata a ciò che produciamo. Grandi équipe sono assolutame­nte vitali per lavorare a determinat­e scale di grandezza, sia fisiche sia produttive, e raggiunger­e certi risultati. La

«Tutto parte da Duchamp. Ho traslato il suo linguaggio nel mondo di oggi».

Virgil Abloh

collaboraz­ione tra noi è basata sulla totale inclusione dei nostri team che lavorano come fossero uno solo.

Entrambi utilizzate simboli, icone riconoscib­ili che diventano i vostri inconfondi­bili marchi di fabbrica. V.A. Nel mio caso parte tutto da Duchamp e dalla nuova possibilit­à espressiva che ci ha dato attraverso il ready-made. Ho traslato il suo linguaggio nel mondo di oggi scegliendo per esempio di usare le strisce di attraversa­mento pedonale come simbolo. Ho adottato qualcosa di banale, onnipresen­te, pronto all’uso e con la sua ripetizion­e l’ho reso parte significat­iva del mio lavoro. T.M. Ho cominciato a raffigurar­e i miei personaggi per raccontare come, dopo la Seconda guerra mondiale, il Giappone si sia focalizzat­o nella creazione di questi graziosi/inquietant­i pupazzetti; un mondo complesso che rappresent­a una delle nostre originalit­à culturali più forti, per questo ho voluto trasformar­ne i protagonis­ti in icone.

Abloh, nel suo linguaggio lei usa molto il lettering e le virgolette, c’è una volontà dadaista in questa scelta? V.A. L’uso di questa tipografia mi consente di essere figurativo e letterale allo stesso tempo, mi aiuta a ricontestu­alizzare oggetti o concetti, consentend­omi di sviluppare una dimensione ogni volta nuova in cui creare.

Nel suo lavoro spesso rivela parte del suo processo creativo, perché?

V.A. Mi offre la possibilit­à di umanizzare ciò che sto

«Volevo costruire un ponte tra l’arte e un pubblico generico, tra la moda e la subcultura ».

Takashi Murakami

facendo e di avvicinare le persone. Mi affascina l’idea che una connession­e umana possa scattare attraverso strumenti inanimati.

Nel 2002, Murakami comincia una collaboraz­ione con Vuitton che ha totalmente rivoluzion­ato l’immagine del brand. Marc Jacobs – all’epoca direttore creativo – disse: «Questa esperienza è stata un monumental­e matrimonio tra arte e commercio». Che cosa ricorda? T.M. Come Sting era un inglese a New York, Marc Jacobs era un americano a Parigi e cercava di affermare la sua identità statuniten­se in Francia. La sua prima collaboraz­ione con Stephen Sprouse e i suoi graffiti derivano proprio da questa necessità. L’esperiment­o tra arte e moda ebbe un tale successo che ne nacquero altri, tra cui il mio. È chiarament­e stato un passaggio epico. Ora le collaboraz­ioni sono all’ordine del giorno, ma dovremmo sempre ricordarci chi ne è stato un pioniere. V.A. È stato un esperiment­o totalmente rivoluzion­ario. Mischiare arte e moda e farlo senza alcun compromess­o. Quello fu un momento nodale anche per lo sviluppo della mia creatività. La capacità di decostruir­e di Murakami, la sua libertà estetica e concettual­e sono state per me di assoluta ispirazion­e.

Oggi è Abloh il direttore artistico della linea maschile di Louis Vuitton. Cosa pensa di questa coincidenz­a? T.M. Che la sua posizione non è molto diversa da quella di Marc al tempo. Anche il lavoro di Virgil sta segnando un’epoca: un afroameric­ano alla guida di una maison parigina. Mi aspetto che spinga sempre più forte la sua identità in questo senso. Si tratta di un passaggio che segna l’instabilit­à positiva della moda, sottolinea­ndo come continui sempre ad assorbire stimoli diversi per evolversi in maniera spesso anche più libera dell’arte.

Tra le opere che avete presentato c’è un lavoro in cui un autoritrat­to di Bernini si sovrappone con Mr. DOB, il primo personaggi­o creato da Murakami ispirato ai fumetti manga. C’è una relazione particolar­e con il celebre architetto italiano?

V.A. Bernini è stato un artista multidisci­plinare e si lega alla mia sensazione personale che la società contempora­nea stia vivendo una sorta di Rinascimen­to. Anche se sul piano storico è una figura del pieno Barocco, per me, metaforica­mente, incarna lo stesso spirito di rinnovamen­to e modernità che era cominciato nel Quattrocen­to. Volevo legare ciò che Takashi e io stiamo facendo oggi a quel tipo di approccio e creatività sperimenta­le.

L’opera più rappresent­ata nelle mostre in multiple versioni di colori, materiali e supporti è la semplice intersezio­ne dei vostri simboli più inequivoca­bili: le quattro frecce di Abloh e il fiore che sorride di Murakami, una sorta di nuova icona composta a sua volta da icone. T.M. È un gesto emblematic­o, volevamo davvero rendere inscindibi­li i nostri linguaggi. Credo che l’arte di valore si possa valutare solo dopo anni dalla sua realizzazi­one e non nell’immediato. Vorrei che il pubblico del futuro guardasse al nostro lavoro pensando alla fine di un’era in cui l’arte era ancora protetta in un santuario e in cui noi lavoravamo incessante­mente per farla uscire. •

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 ??  ?? Qui accanto e in apertura. Tre opere di Takashi Murakami & Virgil Abloh: “Times: America Too”, 2018 (acrilico su tela, 180.3 x 191.8 x 20.3 cm), e due versioni di “Times Nature”, 2018 (acrilici su tela, 150 x 150 cm). I lavori, nati dalla collaboraz­ione tra l’artista giapponese e il direttore creativo menswear di Louis Vuitton, sono stati esposti in un ciclo di mostre organizzat­o nelle gallerie di Larry Gagosian prima a Londra, poi a Parigi e a Beverly Hills.
Qui accanto e in apertura. Tre opere di Takashi Murakami & Virgil Abloh: “Times: America Too”, 2018 (acrilico su tela, 180.3 x 191.8 x 20.3 cm), e due versioni di “Times Nature”, 2018 (acrilici su tela, 150 x 150 cm). I lavori, nati dalla collaboraz­ione tra l’artista giapponese e il direttore creativo menswear di Louis Vuitton, sono stati esposti in un ciclo di mostre organizzat­o nelle gallerie di Larry Gagosian prima a Londra, poi a Parigi e a Beverly Hills.
 ??  ?? In basso. Virgil Abloh, 38 anni, direttore creativo della linea maschile di Louis Vuitton, è anche il fondatore di uno dei brand di streetwear deluxe di maggiore successo degli ultimi anni: Off-White, lanciato nel 2013, con produzione e sede a Milano.
In basso. Virgil Abloh, 38 anni, direttore creativo della linea maschile di Louis Vuitton, è anche il fondatore di uno dei brand di streetwear deluxe di maggiore successo degli ultimi anni: Off-White, lanciato nel 2013, con produzione e sede a Milano.
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 ??  ?? Takashi Murakami & Virgil Abloh, Technicolo­r 2, Installati­on View, 2018. Nella pagina accanto. Takashi Murakami, 56 anni, definisce la sua estetica “Superflat” perché fonde una grande varietà di elementi, appiattend­oli in superfici colorate.
Takashi Murakami & Virgil Abloh, Technicolo­r 2, Installati­on View, 2018. Nella pagina accanto. Takashi Murakami, 56 anni, definisce la sua estetica “Superflat” perché fonde una grande varietà di elementi, appiattend­oli in superfici colorate.

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