nel mondo vero, di Chiara Barzini, foto di Sarah Piantadosi
La moda, i social, gli haters: così li vive e li racconta BEBE VIO, supereroina in incognito.
All’università americana John Cabot di Roma gira una bambina prodigio cresciuta in incognito, Bebe Vio. Oro paralimpico a Rio nel 2016, mondiale nel 2015 e 2017, tre ori agli europei (2014/’16/’18), conduttrice di “La vita è una figata!” (2017), ambasciatrice di Dior, supereroina del romanzo fantasy di Pierdomenico Baccalario
“BeBlade. Bebe Vio e la sua squadra” (Piemme, 2018), questa ventunenne – che, quando entra in una stanza, emana una forza tale da cambiare in meglio persino i tratti delle piante che la circondano – è anche una studentessa universitaria.
Come mai ha deciso di frequentare un’università americana a Roma?
Prima di venirci ho imparato l’inglese e ora sono felice di respirare un clima internazionale e di studiare in questa lingua, staccata da tutto. All’inizio mi hanno messo in casa con una ragazza boliviana, una del Madagascar e una bulgara che non sapevano niente di me. Quando sono arrivata mi hanno chiesto: «Ma che razza di gambe hai?». Essendo giovani e sapendo che vai a vivere con loro, non si fanno problemi a fare domande. Mi piace questo modo di fare schietto. Mi sono presentata alle ragazze come Beatrice, non mi conoscevano come Bebe. Adesso mi chiamano B. perché Beatrice non riescono a dirlo. Da un lato sono B., dall’altro Bebe. Per loro io vado in palestra, viaggio spesso, ma non sanno delle gare.
«Non sono un prototipo di bellezza, ma la gonna corta la metto comunque per far vedere la protesi. Mi mostro, insomma, e a furia di insistere, nei talk, negli spettacoli, adesso sono gli altri che mi chiedono di farlo. C’è una certa bellezza in questo».
Si chiedono come mai salto la scuola per fare tanti viaggi. È bello vivere così, in due mondi totalmente diversi. È difficile mantenere l’identità di supereroina segreta? Cominciano a sgamarmi: quando usciamo a cena, la gente mi ferma o mi chiede di fare una foto insieme. Quando è successo due volte nella stessa sera, le ragazze mi hanno guardata storta. Dopo un mese si sono insospettite e mi hanno trovata su Instagram! Una sera mi hanno detto: «Non ci hai detto che eri a cena con Obama!».
Queste sue due vite sono in conflitto con lo sport?
Non tutti i professori accettano che debba saltare delle lezioni. Abbiamo fatto gli europei la settimana scorsa e prima siamo stati in ritiro, nove o dieci ore al giorno tra Pisa e Roma. Non c’era tempo per le lezioni o per studiare. Ora tra l’altro sto seguendo un corso impegnativo: “Race, Gender and Society”. La prima lezione era sull’approccio maschilista nel cinema e nell’arte. Mi sono innervosita subito.
Lei è sbocciata in un momento in cui questi temi sono in fase di ribaltamento, nella cultura popolare e nello
sport; penso alla forza dello statement di Serena Williams all’US Open (ha dato del sessista al giudice Ramos, ndr). Anche lei è un modello per molte ragazze. Ho sempre avuto esempi femminili su cui basarmi. Mia madre è un mio idolo, e sul lavoro ho conosciuto tante donne che ammiro: Maria Grazia Chiuri per tutti è il boss dei boss, per me è “zia scialla”. È la prima donna a capo di Dior in un mondo pieno di discriminazione. La prima italiana in un mondo di superfrancesi. Sta facendo cose pazzesche... come la maglietta che diceva “We should all be feminist”. E adesso nell’ultima collezione ha aperto con uno statement preciso: “C’est NON NON NON et NON !”. Ha rivoluzionato un brand.
È la sua prima volta su Vogue Italia. Cosa la attrae della moda, e come vi è arrivata?
L’incontro fatale è stato quello con Maria Grazia, lei ha voluto tre schermitrici alla sfilata P/E 2017 (Bebe, Arianna Errigo e Rossella Fiamingo, nda) per rappresentare la donna lottatrice, ma elegante. Ha portato la scherma nella moda, dove lo sport non era ben visto. Come modo di fare siamo un po’ mascoline. Io non sono un prototipo di bellezza, ma la gonna corta la metto comunque per far vedere la protesi. Mi mostro, insomma, e a furia di insistere, nei talk, negli spettacoli adesso sono addirittura gli altri che mi chiedono di farlo. C’è una certa bellezza in questo. Le cose stanno cambiando. Gli sponsor cercano persone con disabilità perché vogliono far capire la loro forza. Sono gasatissima, è faticoso ma bello. Detto ciò, all’ultima sfilata sono arrivata in ritardo e sono rimasta fuori. Mi hanno fatto il cazziatone.
Cosa le piace di più di questo intrecciarsi di generi?
Mi diverto. La scherma, l’università e l’associazione (l’art4sport è l’onlus ispirata alla storia di Bebe e vede lo sport come terapia per il recupero fisico e psicologico di giovani portatori di protesi, nda) sono le mie passioni fisse, il resto lo prendo come sperimentazione. Tutta la mia famiglia mi sta aiutando. Papà è un supereroe. Mamma segue noi figli, la casa, il cane malato, viene ai miei eventi. Ci divertiamo e l’associazione spacca. Come vive il mondo della comunicazione e dei social media? È cambiato anche il suo modo di comunicare? Sono del ’97, all’inizio non volevo Facebook né Instagram; mia sorella ha cinque anni meno di me e ci è cresciuta. Mia cugina, nove anni, è nata con l’iPad in mano, usa il mio profilo Instagram per mettere like ai calciatori. Tutto cambia velocemente. Io mi diverto ma so che, anche se hai tanti follower, non significa che nella vita hai spaccato. Non vivo con il cellulare in mano, conosco i suoi lati positivi e negativi, e leggo anche gli haters che hanno creato pagine contro di me; ma ho capito come prenderla, perché so che quello non è il mondo vero. Chi scrive certe cose, nel mondo vero non te le dice in faccia. Anche se io lo preferirei. •
Il testo integrale dell’intervista è pubblicato su Vogue.it.