Società la paura sul filo, di Antonio Privitera
Classico intramontabile, l’HORROR (e le sue varianti gotico, splatter, dark) è protagonista da brivido di collezioni, mostre, cine-remake, libri fotografici.
Il vero classico intramontabile? I cattivi, anzi i feroci – più feroci sono meglio è. Un semprenero, dal Big Bang ai giorni nostri, che respinge e affascina e che, magari sottotraccia, pervade non solo la cronaca, ma la cultura alta o bassa che sia. Va fortissimo l’horror di questi tempi, a tutti i livelli. Giusto pochi mesi fa Francesco Risso (34 anni) ha idealmente abbandonato i panni di fashion designer per calarsi in quelli del Dr. Frankenstein. Nella collezione P/E 2019 di Marni, Risso è un alchimista che riporta in vita degli ibridi tozzi antropomorfizzati. «Ho creato dei rottami umani, mostri scultorei, dolci e fondamentalmente perturbanti», conferma candidamente. «Negli horror le emozioni vengono ingigantite e sbandano verso rotte impensate. Allo stesso modo, ho immaginato che durante il mio processo creativo qualcosa andasse storto». Lo strano caso di Risso è partito con un autosabotaggio: ha innescato un imprevisto inesistente, che cambiava radicalmente il senso delle cose e «perciò mentre disegnavo, ho voluto far variare in modo coattivo il percepito di ogni indumento. Basta guardare i biker ibridi di quest’ultima stagione». Intanto al cinema arrivano film horror che toccano problematiche attualissime, e lo fanno con grande forza visuale. Da “Scappa - Get Out”, pellicola anti-Trump vincitrice di un Oscar, a “Hereditary - Le radici del male” (2018), che affronta la malattia mentale, l’horror è diventato un mare magnum cui anche i personaggi più inaspettati attingono citazioni più o meno palesi.
Ma è Alessandro Michele a dare sempre nuove forme al sodalizio tra horror ed estetica, sfidando a testa alta tanto il dark quanto il concetto di buon gusto. Una teatralità funerea ha caratterizzato anche l’ultima presentazione parigina, in cui i suoi “gloriosi reietti”, come li chiama il designer, hanno sfilato al Théâtre Le Palace. Ha aperto lo show un video manifesto dalla stagione del “teatro delle cantine romane” degli anni Settanta: un estratto da “A Charlie Parker” – film omaggio alla vita del sassofonista in chiave mistica e dannatamente onirica. «Sono ossessionata dal lavoro di Alessandro Michele», confessa la celebrity-stylist Bea Åkerlund (1975), “gran maestra” del goth. «La sua interpretazione di Gucci è a dir poco celestiale. Dal mio punto di vista, il risultato è così d’impatto perché Alessandro interpreta il culto horror con combinazioni cromatiche molto esasperate». Un patto estetico che il marchio italiano ha per altro suggellato con il libro fotografico “Disturbia”, ispirato a tre film di Dario Argento (“Suspiria”, 1977, con remake 2018 di Luca Guadagnino; “Inferno”, 1980, e “L’uccello dalle piume di cristallo”, 1970), e scattato da Peter Schlesinger a Roma.
Per Bea Åkerlund, moglie del regista Jonas, l’attuale ossessione per il macabro è dovuta anche alla malleabilità del genere. «Io per esempio associo l’attitudine tetra all’ironia, sia nella sfera privata sia nel lavoro. Nonostante viviamo in una casa tutta nera, con le nostre bimbe e il gatto Sphynx, in noi c’è sempre una lettura scherzosa del tema», conclude mamma Bea. Troviamo ancora un fondo d’ironia, seppure dispettosa, anche nel profilo Instagram Skstudly, l’account splatter del fotografo Steven Klein: un album crudo composto da immagini estrapolate da film-culto del genere – “Volto di donna” (1941), “Maps to the Stars” (2014), “Un lupo mannaro americano a Londra” (1981), ma anche B-movie come “Tremors” (1990) e “La bambola assassina” (1988). «Il profilo Instagram nasce dal fatto che trovo terrificanti le foto del cibo che la gente continua a postare ogni giorno», confessa Klein. «È una reazione diretta a ciò che vedo. Per me quello è horror».
Pare che sia un cultore di scary movies pure Raf Simons, che per Calvin Klein nella P/E 2018 ha avuto come referenze “Carrie” (1976 e remake nel 2013) o “Rosemary’s Baby” (1968). E nella più recente P/E 2019 poggia le sigle CK sulla locandina di “Lo squalo” (1975) di Spielberg. Ma è “Shining” (1980) di Kubrick ad avere contaminato le collezioni dei brand di ultima generazione. Un rimando al film è ricamato a mano con microperline sulla borsa P/E 2018 di Marco De Vincenzo, che omaggia le celebri gemelline; così come ha fatto – ancor più esplicitamente con un total look – anche Undercover: stesso film, stessa stagione. «Quando vivevo in Sicilia molti cinema all’aperto proiettavano in estate i thriller che hanno fatto storia», dice De Vincenzo. «Ecco perché ho citato Kubrick. L’horror ha un’estetica assolutamente indelebile e segna la memoria attraverso la paura, un sentimento che non amo nella vita, ma che al cinema invece trovo elettrizzante».
Per assaporare le stesse emozioni febbrili che hanno segnato De Vincenzo in quel di Messina, la David Zwirner Gallery di New York propone “Untitled”, l’ultima serie di scatti cui ha lavorato Diane Arbus fra il 1969 e il ’71. La fotografa amica di Kubrick è infatti la vera inventrice delle sorelline di “Shining”, nate per mitosi dalla storica fotografia “Identical Twins” del 1967. Grazie ai suoi soggetti inquietanti, Diane Arbus (1923-1971) ha aperto le porte, in tempi non sospetti, alla giustezza dell’imperfezione e della diversità dimostrando che la paura forse è solo una suggestione che l’arte, da sempre, prova a smitizzare. Del resto, «si scattano immagini inquietanti per esorcizzare le paure più profonde» e c’è da fidarsi se a dichiararlo è la fotografa e regista Floria Sigismondi (53 anni), che celebra quest’anno il ventennale dall’uscita di “Redemption”, libro fotografico – tra i tanti protagonisti pure David Bowie in versione rettiliana – considerato il vademecum del thriller pensato con funzione catartica. «Oggi ci sentiamo tutti indifesi e impotenti; senza un controllo rispetto a ciò che ci accade. Ecco spiegato come mai, in questa precisa fase storica, l’horror sia tornato con prepotenza a venire considerato una delle più grandi forme d’arte». •