La Mostra il banchetto ottico, di Paolo Lavezzari
FOOD PHOTOGRAPHY e social network: oggi quasi un’indigestione. L’antidoto? Un’esposizione di scatti d’autore in Olanda, con sapidi esiti del voyeurismo à la table.
Tutto comincia nel 2017 con il libro “Feast for the Eyes: The Story of Food in Photography”. Poi l’idea è lievitata e l’autrice Susan Bright (49 anni, australiana in sede stabile a Parigi) lo ha tradotto in una mostra realizzata dalla Aperture Foundation di New York che a dicembre approda al Foam, il museo della fotografia di Amsterdam (dal 20/12 al 6/3/2019). Rare, golose, strane, sorprendenti, glam: le foto che Bright ha selezionato sono la più esauriente esplorazione ragionata, non semplice catalogazione, di come il cibo sia un soggetto che continuamente ispira fotografi dalle più diverse poetiche. E se la food photography è oggi epidemica – complici hashtag come foodporn, softbrunch, smoothe, carboidrativiamo e applicazioni come SnapFood per immortalare al meglio qualsiasi pietanza –, libro e mostra vengono a proposito per ricordare quanto il tema fosse già caro ai pionieri della fotografia: come si vede nelle nature morte di gusto seicentesco realizzate dal britannico Roger Fenton (1819-1869), in perfetto contrasto con le indagini, al limite dell’astrazione, sulle forme di frutti e verdure di Edward Weston negli anni Venti. Nell’oggi tutto a colori, in cui chiunque può rendere immortale l’effimero edibile tramite pixel, le sgargianti policromie analogiche di Nickolas Muray già annunciavano il kitsch contemporaneo di Martin Parr. Mentre le nature congelate (letteralmente) o marcescenti di Irving Penn aggiungono un brivido d’autore, un “memento mori” che Nobuyoshi Araki ha moltiplicato all’infinito via Polaroid. •