Il Personaggio noi, visti da qui, di Lorenzo Mieli
Non solo Måneskin. Se c’è un luogo televisivo dove osservare come sono cambiati i ragazzi italiani – per gusti, stile, colore della pelle – questo è X FACTOR. Come spiega a Vogue Italia il produttore.
Noi che facciamo “X Factor” ci sentiamo dire spesso una cosa bella: questo programma racconta un paese abitato da ragazzi che non si vedono quasi mai in tv. Ragazzi evoluti, creativi, colti, preparati, coraggiosi. Ragazzi arrivati da lontano oppure italianissimi anche se non lo sono per la legge. Ragazzi gender fluid. Ragazzi che sognano anche se a volte il futuro fa paura. Guardandoli, allora, il pubblico si fa domande per noi fondamentali: «Ma davvero questo ragazzo ha 16 anni? Ma come lo hanno trovato?». Ora, io di questo vorrei parlare: di come lo abbiamo trovato e di cosa non abbiamo ancora fatto per lui. Sette anni fa, quando mi è venuto in mente di portare “X Factor” da Rai 2 a Sky, non avevo mai visto un talent show. Pensare che una corazzata mainstream potesse funzionare nella nicchia della pay era un azzardo. Ma se dovessi ridurre il mio lavoro a un’immagine, ne userei una del “Piccolo Principe”: il serpente che inghiotte l’elefante e diventa un cappello. Ecco, io per lavoro faccio cappelli. Cerco sempre di mettere nel contenitore un contenuto che viene da altri mondi per trasformarlo. E per farlo cerco di portare al cinema, in tv (e su Netflix, Instagram, tutti i media) artisti e prodotti che creino caos nel sistema, evolvendolo. Sette anni fa, da analfabeta dei talent, ho capito che un programma come “X Factor” è sempre a un bivio. Può essere tv normale o un luogo perfetto di passaggio di elefanti interessati solo alla musica. Noi abbiamo scelto quest’ultima strada, la più rischiosa: il nostro talent per essere autentico doveva essere fatto da gente che voleva solo scrivere canzoni o cantarle. Gente che dalla tv ci passava, ma con l’idea di uscirne al più presto. A cominciare dai giudici. Per questo Morgan funzionava: un artista geniale che metteva in scena senza censure la sua lotta contro la tv. Come Fedez, Mika, Manuel Agnelli, Asia Argento. Tutti elefanti che volevano diventare cappelli. E tutti con lo scopo di trovare là fuori ragazzi con un talento eccezionale e basta.
Quel ragazzo di 16 anni l’abbiamo trovato così, andando a caccia di elefanti. Ma visto che se un produttore scrive bene del suo programma si compiace inutilmente, voglio dire anche quello che non va. Per fare sì che questa caccia si mantenga autentica e non diventi maniera, dobbiamo prenderci fino in fondo una responsabilità: il futuro di quel ragazzo. Sono anni che ragioniamo su questo. Su cosa faranno non solo i vincitori, ma tutti i più bravi, originali, delicati, fuori dal mondo protetto di “X Factor”. Ci aiutano i giudici, e gli agenti, i manager e i discografici, ma non basta. Sento che dobbiamo fare ancora tanto. Ancora una volta “X Factor” è a un bivio. E, perché l’elefante non finisca digerito dal serpente dello showbiz, anche stavolta dobbiamo scegliere la strada più rischiosa.•