L’Anniversario la forma dell’acqua, di Barbara Amadasi
Una collezione speciale, un libro: così HERNO festeggia i suoi primi 70 anni. Una storia nata sulla riva di un fiume. E che oggi promette di far suonare al classico impermeabile nuove sinfonie.
È un nome “scritto sull’acqua” quello di Herno: l’acqua impetuosa dell’Erno che bagna Lesa, sulla sponda piemontese del Lago Maggiore, memoria e ragione di un’azienda ricca di storia e identità, che dal fiume nasce e prende il nome – l’acca davanti è un vezzo, preludio della vocazione all’internazionalità – e che oggi celebra i 70 anni. Nell’umido clima del lago ripararsi dalla pioggia era una necessità, ricorda Claudio Marenzi, 56 anni, figlio del fondatore Giuseppe e alla guida del gruppo dal 2005: solide radici montane e orizzonte cosmopolita, un mix di visione e pragmatismo la sua cifra. «Dal 1948 Herno lavora sull’impermeabile. Da allora siamo attenti alla performance, alla funzionalità. Il nostro dna è fatto di manifattura», racconta. La fabbrica che Giuseppe Marenzi avviò in un opificio ottocentesco sul fiume, trattando il tessuto di cotone con l’olio di ricino per renderlo idrorepellente, ora è un marchio luxury dal respiro internazionale, con flagship stores in Europa, Giappone e Usa, cui si guarda per le cappe di nylon lucido, di ciniglia, di jersey, i piumini con l’inconfondibile a-shape, i cappotti e i city parka di cashmere, le lavorazioni double.
Nel tempo di mezzo, discese e risalite. «Tra il 1990 e il 2005 producevamo per le maisons francesi. Il marchio era appannato, ma con un bagaglio enorme di esperienza, di conoscenza. Sono ripartito dal nome, forte di anni di storia manifatturiera. Oggi siamo tra i pochi a gestire ogni processo, a sviluppare le idee e realizzarle internamente. Idee che nascono prima dalla funzione, dalla domanda: a cosa serve questo capo?». Così si sono inventati l’irrinunciabile – «e molto copiato» – piumino ultraleggero ma caldo «da usare sotto la giacca, che sostituisce il golfino e sta in tasca o in borsa», o la collezione Laminar, progetto di ingegneria sartoriale che usa la tecnologia dell’active sport nell’urbanwear, coltivando in anticipo un trend ora diffuso: « È nata da una passione personale. Scio da quando cammino, e anche in città serviva un waterproof traspirante: siamo partiti dal prodotto non dal marketing». In tempi di brand che raccontano storie, anche l’iconico gancio cui Herno affida l’immagine ha al centro solo il prodotto e lascia ciascuno libero di creare la propria narrazione. Ma è insieme anche «un omaggio al minimalismo concettuale, all’arte di Pistoletto e al Giappone, che si intreccia con la storia di Herno, ne contamina lo stile».
L’arte contemporanea e il Giappone hanno giocato entrambe un ruolo cruciale nella crescita dell’azienda piemontese. Grazie a una lunga liaison d’affari e amicizia con la famiglia Okuda, nata nei ’60 quando il paese inizia a guardare alla moda europea, Marenzi è stato infatti tra i primi italiani a sbarcare con una boutique a Osaka: così oggi il Giappone è il mercato principale. «L’architettura di Tadao Ando e quella dei templi di Kyoto hanno influenzato la mia estetica. Lì mi fermo a fare ricerca, è una fucina incredibile di novità». La passione per l’arte contemporanea, poi, intesse tutto il mondo Herno: dalla sede di Lesa ai negozi, all’immagine, e si è irradiata nelle forme di mecenatismo per i giovani designers, nelle collaborazioni con le scuole di moda «importanti per l’innovazione», nel premio Herno al Miart dedicato alle gallerie – «perché nell’arte contemporanea è importante anche il contenitore». Oggi la priorità è la ricerca, il rinnovamento dei processi produttivi, la sostenibilità «con il primo capo che mappa il proprio impatto ambientale. I nostri siti sono autonomi per l’energia, i tessuti ecosostenibili, ma ora serve tracciare l’inquinamento della produzione di un capo per migliorare».
Famiglia – «il consiglio di mio padre? Non crogiolarsi sugli allori» –, radici, l’azienda come fucina creativa: è tutto distillato nel nuovo volume biografico “In flumine est vita” (TeNeues) e nella collezione celebrativa con il trench e il piumino griffati con i pensieri dello staff, omaggio allo spirito di bottega dell’azienda, alle persone che vi lavorano da 40 anni. Cosa c’è da inventare ancora nell’impermeabile? «È come la tastiera di un pianoforte: è sempre quella, ma si possono creare mille diversi accordi e melodie».•
Il gancio, simbolo del brand, è «un omaggio al minimalismo concettuale, all’arte di Pistoletto, al Giappone».