vaghe stelle d’oriente,
Nelle spa dei nuovi luxury hotel di BANGKOK tradizione e futuro si fondono creando inediti trattamenti.
Mentre diventa sempre più cosmopolita, la capitale thailandese mantiene intatto tutto il fascino dell’Asia. È proprio su questo mix di storia e innovazione che scommettono i grandi nomi dell’ospitalità.
Nel bilancio economico di Bangkok il turismo internazionale ha un ruolo di primo piano: non a caso la capitale thailandese con oltre venti milioni di visitatori batte Londra, Parigi e Dubai. L’obiettivo, ora, è catturare l’attenzione di quello più elitario. «La città si sta trasformando in una metropoli veramente globale», conferma Christopher Stafford, chief operating officer di 137 Pillars Hotels & Resorts, catena di luxury boutique hotel che ha lanciato “Sleep by Design”, il trattamento per viaggiatori a lungo raggio che fonde reiki e Chi Nei Tsang, il massaggio addominale detossinante. «La particolarità di Bangkok è che, mentre diventa sempre più cosmopolita, mantiene intatto tutto il fascino dell’Asia», spiega il manager. È proprio su questo mix di tradizione e innovazione che i grandi nomi dell’ospitalità scommettono per soddisfare la curiosità e la voglia di esperienze autentiche dell’1%. In pochi mesi, la città ha così visto l’apertura di una serie senza precedenti di luxury hotel, con alcune prime assolute. «Bangkok è una delle nuove capitali gastronomiche e del design, una destinazione ideale per il primo Waldorf Astoria del Sudest asiatico», dice Daniel Welk, vice president luxury and lifestyle Asia Pacific della catena. Ospitato in un grattacielo di sessanta piani su Ratchadamri Road, la strada dello shopping e delle ambasciate, l’hotel porta la firma di André Fu, l’archistar di Afso Hong Kong esponente del “relaxed luxury design”, mix di sollecitazioni estetiche di Oriente e Occidente. Poco lontano, i canadesi George Yabu e Glenn Pushelberg hanno ideato nella sinuosa torre di 24 piani del Central Embassy, l’upscale mall disegnato da Amanda Levete (l’architetto della nuova ala del V&A a Londra e del Maat di Lisbona), il Park Hyatt Bangkok. Il risultato sono spazi introspettivi affacciati sulla città, compresi cinquecento metri quadrati di Pañpuri Organic Spa dove immergersi in trattamenti body & mind, come le docce esperienziali che combinano sottofondi musicali rilassanti e aromi rinvigorenti. L’Asaya Spa del nuovo Rosewood Hotel – apertura a inizio 2019 – promette un ribilanciamento dell’energia con trattamenti signature, come Watsu Therapy e Sound Therapy. Il primo unisce massaggio, movimenti articolari, stretching e shiatsu, in una vasca a 35 gradi che richiama il ventre materno. Il secondo promuove un rilassamento profondo e stimola la onde cerebrali Alfa e Theta con l’aiuto di campane tibetane. Molte le novità anche lungo il fiume Chao Phraya. «Qui c’è la perfetta contrapposizione di calma e caos, modernità e tradizione, creatività e spiritualità», spiega David Robinson, direttore di Bangkok River, progetto nato per rivitalizzare la parte più antica della città dove, fino a febbraio, graviterà la prima edizione della Bangkok Art Biennale. Atteso a primavera il Four Seasons Hotel at Chao Phraya River. «Occuperà duecento metri lungo il fiume, con ampi cortili, giardini e camere con vetrate floortoceiling», anticipa il general manager Lubosh Barta. Il nuovo hotel vanta duemila metri quadrati di spa, fra cui un mind & body studio. Il benessere sarà un elemento chiave anche del Capella Hotel (primavera 2019): «Contiamo di superare le aspettative dei viaggiatori più selettivi con 101 suite affacciate sul fiume, il programma Auriga Wellness che fonde terapie tradizionali e alternative orientali e un focus sulla nutrizione», dice John Blanco, general manager. A proposito di food, il 2018 ha segnato l’arrivo della prima Guida Michelin che celebra le glorie gastronomiche della città. Fra i 17 ristoranti stellati (l’indiano Gaggan, il francese Le Normandie e il fusion Mezzaluna al 65° piano del Tower Club at Lebua portano a casa due stelle ciascuno) c’è anche Jay Fai, la regina dello street food. Cappello, occhiali da sci neri e labbra dipinte di rosso, “Auntie Fai” continua a preparare nei wok a carbonella omelette al granchio, curry e noodle nella stessa cucina di Chinatown aperta dal padre settant’anni fa, incurante della trasformazione della città.•