Imageries una questione di sfumature, di Mariuccia Casadio
Il COLORE come esca dello sguardo, strategica cifra personale, pretesto per parlare d’altro e raccontarsi nelle opere al femminile di oggi.
È colore a tutto campo, che accende i sensi e la fantasia. Tinta ambientale al femminile, evocativa di camerette per bambine, ambienti e arredi da cartone animato, avvolgenti e totalizzanti tappezzerie, che veste di morbide sfumature la superficie di forme e spazi. E che, tra stesure monocrome gialle arancio e turchine, policrome cangianti pennellate, motivi di fiori o grandi petali in toni pastello, si rende portavoce di statement diversi. Esca dello sguardo per le opere di alcune artiste di oggi, che hanno fatto del colore lo strategico sottofondo di un racconto personale sulla loro condizione di donne e di artiste.
Per l’olandese Lily van der Stokker, la cui retrospettiva “Friendly Good” (in corso allo Stedelijk Museum di Amsterdam fino al prossimo 24 febbraio) raccoglie per la prima volta un’ampia selezione dei wallpainting da lei realizzati nell’arco di oltre quarant’anni, si tratta di tonalità zuccherose e cheap, di dolci nuvolette, fiorellini e altri arzigogoli. Frivoli e amichevoli intrecci visuali che contornano e contestualizzano una varietà più concettuale, femminista e provocatoria di iscrizioni. Luoghi comuni e riflessioni non strillate sulla donna, i suoi supposti doveri domestici e impegni familiari, i limiti d’età e le finanze che ne penalizzano l’autonomia e la realizzazione lavorativa. Quello di van der Stokker è insomma impegno all’insegna del piacere estetico, della socialità e del gioco, perché, come puntualizza lei stessa, «Sono una specialista della bellezza. E la mia priorità è quella di ricercare la felicità e l’amicizia attraverso l’arte». Aggiunge inoltre: «I bambini sono circondati da colori vivaci e allegri, ma non vengono giudicati smart. Mentre le donne sono portatrici di una felicità che non ha prezzo. La bellezza e l’abbellimento del corpo femminile non sono valutati su piano intellettuale, eppure nessuno ne può fare a meno».
Per la tedesca Katharina Grosse, autrice di dipinti in scala architettonica come quelli in mostra al Trade Fair Palace di Praga fino al prossimo 31 marzo 2019, il senso del colore, che lei stende e sfuma su grandi supporti, si genera, d’altra parte, indietro nel tempo. Quando, ancora bambina, come lei stessa ricorda, inventa un gioco solitario, da fare stesa sul letto appena sveglia. «Prima di alzarmi dovevo cancellare tutte le ombre sul muro. Mi ero inventata un pennello invisibile con cui dipingere sul davanzale, sulla lampada, ovunque le ombre fossero. È diventata un’ossessione. Per me, guardare al mondo non è disgiungibile dal fare nel contempo qualcosa al suo interno». Ed è così che se ne appropria, rivestendolo con grandi teloni policromi, avvicendamenti senza fine di tonalità intense e pennellate estemporanee. Con la nippo-americana Amie Cunat, invece, il colore diventa full immersion, incontro di vivaci campiture monocrome che disegnano e definiscono un ambiente site-specific, una scenografica composizione di spazi e arredi ritagliati nel cartone. La giovane artista newyorkese – che ha meritato una residency allo Shaker Museum e nel 2019 vivrà e lavorerà a Mount Lebanon, Old Chatham, NY – ama pensare le sue installazioni come dei grandi eventi. «Qualcosa di enorme è accaduto e sono quello che resta di un precedente atto». •