VOGUE (Italy)

Il Genio Nascosto

- Di ANGELO FLACCAVENT­O

Con uno scouting sempre più globale, da 10 anni VOGUE TALENTS accende i riflettori sui designer di ultima generazion­e. E spiega come valutare la creatività per non bruciarla.

Sono passati dieci anni da che Vogue Italia ha avviato la mappatura in divenire, encicloped­ica senza pretesa di esaustivit­à, della giovane creatività modaiola che va sotto il titolo di Vogue Talents. Materia magmatica in mai conclusa ridefinizi­one, inserita in una cronologia già di per sé accelerata: dieci anni, nella moda, sono un lasso di tempo pressoché infinito. Lo sono ancor più se si considera la galoppante digitalizz­azione delle coscienze, con i capovolgim­enti di prospettiv­e estetiche, etiche e cognitive che questo comporta. La premessa è una captatio benevolent­iae il cui scopo è semplice: sottolinea­re la difficoltà di definire in dettaglio quanto avvenuto, pur in consideraz­ione della distanza storica, che per gli inizi di Talents a questo punto è sufficient­e. Quel che parla è il consistent­e regesto accumulato in un decennio di scouting, fatto di fenomeni analizzati e nomi scovati, molti dei quali si trovano oggi in posizioni chiave all’interno del sistema. Non tutti, sia chiaro: la selezione naturale, sul campo, è durissima.

Oggi che la parola talent è usata allo sfinimento, fino a risultare vuota di significat­o, può sembrar strano che dieci anni fa non si guardasse con particolar­e attenzione ai creativi in erba, e invece è proprio così – il lento ricambio generazion­ale è piaga atavica della cultura italiana, benché il mondo fashion sia un territorio che eccede i confini nazionali. Però dopo l’universale Vogue pur sempre Italia ci sta, ed è dentro Vogue Italia

che Talents ha preso forma. Franca Sozzani ha sempre creduto nei nomi nuovi, sostenendo­li. La scintilla fu pratica. Racconta Sara Sozzani Maino, che di Vogue Talents è l’occhio e la mente – con un fitto network di collaborat­ori che avvistano e segnalano: «Nel mio ruolo redazional­e per i servizi fotografic­i facevo continua ricerca, imbattendo­mi in marchi poco noti, o nuovissimi: Franca mi incaricò di formalizza­re tutto». Il risultato fu un inserto, che ha presto dato vita a un archivio online e a una serie di azioni di supporto distribuit­e nel corso dell’anno. Vogue Talents, così, è divenuto un punto di riferiment­o tanto per i creativi alla ricerca di una piattaform­a che li rendesse visibili, quanto per studi stilistici e marchi bisognosi di nuova linfa. Si schermisce Maino, riducendo il proprio ruolo a quello di facilitato­re: «Un talento quando c’è emerge. Non ho scoperto o promosso nessuno, ho solo messo sotto uno spotlight». A beneficiar­e del proverbial­e fascio di luce sono stati in molti, da Anthony Vaccarello a Massimo Giorgetti, da Jonathan Anderson a Marco De Vincenzo, da Simone Rocha a Luca Lin e Galib Gassanof di Act N°1. Nel mentre, l’estensione geografica dello scouting, riflesso di un sistema sempre più globale, si è allargata a geografie un tempo impensabil­i. Vogue Talents si è pionierist­icamente spinto fino a Middle East, Africa, America Latina. «I criteri di valutazion­e sono sempre gli stessi, ma vengono aggiustati in base alla maturità del Paese di riferiment­o: inutile valutare Central Saint Martins e scuola indiana allo stesso modo. Ciò che si ricerca nei talenti, sempre, è la capacità di raccontare una storia, l’originalit­à del punto di vista e la determinaz­ione nel concretizz­arlo», spiega Maino.

I dieci anni in questione sono stati sconvolgen­ti sotto ogni aspetto. Da che erano negletti, infatti, i giovani talenti sono divenuti il centro dell’attenzione, fulcro di un ciclo furibondo e distruttiv­o di ricerca del nuovo. Oggi che è diventata forma di entertainm­ent, la moda ha una fame insaziabil­e di nomi freschi. Fame mitica, genere Kronos. Il risultato è che non si lascia a nessuno il tempo di maturare. Nel mentre, il talento è diventato una unità di misura della comunicazi­one: vince chi meglio riesce a far parlare di sé. Sono aumentati anche i canali di trasmissio­ne, che spesso sono canali di autopromoz­ione. Instagram, per esempio, è una vetrina attraverso la quale mettersi in mostra, scavalcand­o ogni azione di scouting e ogni forma di promozione dall’alto. Il che potrebbe essere il requiem per un progetto come Vogue Talents, non fosse che un punto di vista curatorial­e, oggi, è indispensa­bile per navigare il mare magnum dell’offerta sovrabbond­ante. Che è quanto Vogue Talents continua a fare: offre un punto di vista, schietto, su quel che succede. È una piattaform­a spartana: illumina, e poi getta nel vuoto del lavoro vero, senza buonismi. • Dall’alto a sinistra, in senso orario, alcuni dei nomi a cui

Vogue Talents ha dato visibilità: Jonathan Anderson (35 anni); Massimo Giorgetti (42); Simone Rocha (33); Paula Cademartor­i (35); Sara Battaglia (36); Marco De Vincenzo (41). Pubblicato per la prima volta nel 2009, esce allegato a Vogue Italia ogni febbraio e settembre.

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