quello che conta, di Emanuele Farneti
L’Uomo Vogue e Vogue Italia sono due rette parallele, pensate per essere, ciascuno a suo modo e con un diverso linguaggio, un racconto del bello che nasce dentro la moda e attorno a essa, data la sua capacità di germogliare altrove, di contaminare mondi limitrofi, di testimoniare e nei momenti migliori persino anticipare mutazioni sociali significative, scampoli di spirito del tempo.
Contraddicendo la loro rotta abituale, questo mese le due rette editoriali hanno finito per toccarsi: entrambi i numeri infatti sono costruiti attorno a una parola apparentemente antica e usurata: eleganza. Come suggerisce la copertina, ci interessava infatti provare a rispondere a una domanda: è possibile strappare l’idea di eleganza alla polvere, e vedere come sta addosso alle nuove generazioni? Esiste una sua declinazione che non suoni nostalgica e stonata a un ventenne? E può essere ancora un valore, pensando a come si applica non solo ai vestiti ma più in generale alle cose e ai luoghi, e ancor più ai gesti e allo stare al mondo?
Il dubbio, a seguire la cronaca, specie politica; a sfogliare i social; ad ascoltare certa musica, certo rumore, è legittimo. In tempi di populismo, evocare qualcosa che richiede cura, pazienza, educazione, fa quasi tenerezza. Eppure. Eppure, se si è disposti ad accettare l’idea, si intuirà che l’eleganza, come la grande maggioranza del sistema valoriale che ci accompagnava, passando attraverso la rivoluzione digitale – e quello che in un certo senso è la sua declinazione nel sistema moda, lo streetwear – non è cancellata: è cambiata, forse per sempre. Occorre farsene una ragione, e allora, senza dare giudizi, si vedrà che una diversa idea di eleganza sta prendendo forma: in certe contaminazioni tra street e formale, in un diverso modo di intendere la couture; e da lì via via allargando dagli abiti alla ricerca di inattesi modelli di riferimento, a tracce di rinnovato impegno civile, alla difesa sempre più condivisa di diversità e inclusività, all’affacciarsi di voci creative provenienti spesso da luoghi lontani, al farsi strada dell’idea che il consumo ragionevole sia una forma di rispetto non solo verso se stessi ma verso tutti (pensiamo al vasto movimento di sensibilizzazione sull’impatto ambientale della plastica). Vista così, la faccenda è tutt’altro che minore: potremmo dire che eleganza in questo momento storico è quello che ha valore, è ciò che rimane e che conta davvero.
Di più: anche se per chi non ha vent’anni non è facile, bisogna accettare l’idea che la definizione di eleganza, in un mondo digitale, non sia più appannaggio di un’élite, ma aperta al contributo di tutti, gente anche lontana, a volte persino inconsapevole. Un’eleganza non conservativa, non esclusiva, diciamo pure democratica: bel paradosso di questi tempi strani. Proprio sicuri che non sia una buona notizia? •