Manifesto sull’eleganza, di Michele Serra
L’etimologia svela l’anima delle parole. Elegante viene da eligere, scegliere. Inelegante, dunque, è colui che non sceglie. O perché non ne è capace, oppure perché vuole nascondere agli altri la propria natura profonda. E dunque delega a fattori esterni (la moda del momento, l’opinione corrente, il luogo comune) i propri comportamenti, il modo di presentarsi agli altri.
In politica, per esempio, ineleganza suprema è acconciarsi all’andamento dei sondaggi, inseguire l’andazzo. Quando dici “il popolo lo vuole” non stai dicendo la cosa più importante, e cioè che cosa vorresti tu; che tipo di persona sei; che linguaggio useresti se ti fossero levate di bocca, una dopo l’altra, le parole che ripeti solo per compiacere il tuo pubblico. Soprattutto per questo la politica è diventata il luogo tipico dell’ineleganza, uguagliando e quasi spodestando, nella grossolana rincorsa al consenso, il linguaggio tradizionale della sottomissione ai gusti di massa, ovvero la pubblicità: oggi, in confronto al linguaggio politico, molto più fantasiosa e varia. Molto più elegante.
La volgarità della politica – i tweet sbrigativi, l’uso del turpiloquio, la bassezza dei sentimenti spacciata per “sintonia con il popolo” – mira a far credere che la distanza tra popolo e classe dirigente sia ridotta. Qualche anno fa un politico dai modi rozzi, durante la pausa di un talk-show al quale, purtroppo, partecipavo anche io, mi disse con un ghigno profetico: «Sono maleducato perché rappresento elettori maleducati». Credo intendesse darmi una lezione sulla vera natura della democrazia. Credo anche che si senta un trionfatore, e con qualche buona ragione: il suo partito oggi governa il mio Paese.
Se ne dovrebbe dedurre che l’eleganza, in politica e forse altrove, è perdente per sua natura, perché le scelte personali, le idee non banali, le parole non consumate dall’abuso, sono condannate alla sconfitta. C’è però un varco, nel muro dell’ineleganza. È la sua piattezza, è la noia profonda che, alla lunga, accoglie le parole risapute. Ci vorrà tempo, ma capiterà: un concetto inatteso, ben pronunciato, frutto delle scelte intime e convinte di chi lo enuncia, farà capolino tra gli urlacci. Non passerà inosservato. La politica avrà ricominciato a scegliere. Tornerà elegante e tornerà seducente, cosa che oggi non è. • *Michele Serra è nato a Roma nel ’54. Ha fondato il settimanale satirico Cuore. Collabora con la Repubblica, L’Espresso, Vanity Fair, scrive per il teatro. Ha pubblicato Gli sdraiati e Il grande libro delle Amache, raccolta di 25 anni di giornalismo (Feltrinelli). L’ultimo volume è Sull’acqua (Aboca), melologo scritto per la voce di Lella Costa e le musiche di Fabio Vacchi.