Sketch non tutto torna, di Angelo Flaccavento
I tempi che furono ammaliano e incantano, ma difficilmente saranno di nuovo. Gli apici topici di autostima incrollabile, consapevolezza ingualcibile, fighettume incommensurabile è meglio che siano attimi fuggiti di un passato tra il mitico e il mitologico, adolescenziale o giù di lì; è giusto che appartengano a epoche sepolte nelle quali la massima preoccupazione era portare il ciuffo a destra o a sinistra, con tutto quel che di ontologico ed estetico ne poteva conseguire. Beata gioventù di corpi in ebollizione, emozioni in suppurazione, convinzioni in divenire; così tumultuosa che, anche a rimpiangerla, prodest sia stata breve e conclusa.
L’anelito al passato, insomma, tanto più vale quanto meno è soddisfatto: facciamocene una ragione. Non per la moda, tempio dell’eterno ritorno abitato da un Uroboro glamouroso che si muove in circoli nutrendosi della propria coda per cui la fine è l’inizio e l’inizio è la fine e tutto prima o poi riaccade, ad infinitum.
Non è solo la promessa di giovinezza eterna soddisfatta con una giacchetta o gli skinny jeans, rinverdendo voghe remote con trovate au curant.
È proprio una questione di ethos: si avanza rinculando, guardando fissi indietro come dannati danteschi. Ultimamente, per esempio, usa il remake frame by frame, a mo’ di moviola, di certi momenti gloriosi. Sono attimi differenti per ogni stilista, direttore creativo o maison, che però rimandano sempre all’adolescenza, o all’età d’oro, del marchio.
Si reitera il successo del passato primigenio, a uso e consumo di un nuovo pubblico che lo richiede, e non importa che Paganini non ripeta, perché la speranza è di sfondare con la ristampa, come quando il greatest hits soppianta l’album nuovo che ritarda. Marc Jacobs ha ritirato fuori, paro paro, la collezione che nel 1992 gli costò il posto da Perry Ellis: una elegia grunge a conti fatti epocale, accolta ai tempi con scandalo da benpensanti e non. Donatella Versace continua a rovistare in archivio, riacchiappando le stampe, i vinili e le spille di Gianni, per combinarli in un caleidoscopio deflagrante esattamente come illo tempore. Torna Best Company, per i nostalgici paninari, e pure i volants Very Valentino. Operazioni grossomodo nostalgia che cozzano, o forse no, con un’epoca in apparenza sparata a tutta velocità verso il futuro. Invece ci si aggrappa al passato con le unghie. Certo, la moda può funzionare da favolosa macchina del tempo, e consolare meglio dei dolcetti di Proust, ma cercare di ripetere l’apice indiscusso è impresa vana, seppur utile ai commerci.
Rifare il già fatto è un gesto compiaciuto e periglioso che Picasso aborriva, ma il problema è altrove. Nulla è uguale la seconda volta: non i corpi, non le teste, non i modi. Non la temperie e il contesto, soprattutto. La storia si ripete, certo, ma c’è sempre qualcosa che non torna. Il passato pungola quando è vago ricordo: riprodotto in dettaglio, come in un quadro iperrealista, svela solo il ridicolo, come i ciuffi abominevoli che ci piacevano tanto. •
Fake Abstract, dipinto a olio su tela del pittore spagnolo Lino Lago, 45 anni, sul ritratto di Cornelia Vetterlein realizzato da Joseph Karl Stieler, nel 1828.