Imageries mutanti e mutazioni, di Mariuccia Casadio
Opere tra chimica, bioetica e finanza. ALTERAZIONI. Come tecnologia, economia, banche e multinazionali hanno trasformato il volto dell’arte.
I sogni di evoluzione e innovazione degli anni Ottanta hanno ispirato una varietà di progetti. Creazioni, creature, proiezioni e previsioni d’arte o di design, che, come il “MyDog” di Cinzia Ruggeri, pubblicato nel volume “La materia dell’invenzione” di Ezio Manzini nel 1986 (Arcadia) e da lei immaginato come un cyborg con le sembianze del suo schnauzer, prefiguravano l’avvenire della tecnologia, attribuendole un ruolo auspicabilmente centrale nell’imminente futuro. Un protagonismo che l’eclettica Cinzia Ruggeri (1945), in mostra da febbraio con una nuova personale nella sede parigina della galleria Campoli Presti, ha indagato innestando una qualità ludica e surreale alla sua previsione futurologica formato pagina, che nasce subito dopo il suo brevetto di un tessuto che cambia colore. E fantasticando su un’ipotesi evolutiva del rituale domestico, affidato a un cane robot sensibile, ricettivo e multimediale, che coniuga in sé arte e scienza, biologia e tecnologia, aprendo a nuovi ambiti di linguaggio la ricerca artistica. Una ricerca che non ha smesso, nei decenni successivi, di assimilare ed elaborare nell’opera i tratti più cruciali dell’esistente. E appare oggi sempre più impegnata a osservare le incognite e i dilemmi di un tempo in rapida mutazione, instabile e costantemente minato da eventi inaspettati, catastrofici sconvolgimenti dell’ambiente e della società, poteri forti, crisi economiche, crolli finanziari. Un tempo che si trincera dietro le facciate
La ricerca è sempre più impegnata a osservare incognite e dilemmi di un tempo costantemente minato da imprevedibili sconvolgimenti.
di possenti architetture d’autore. Sedi di potenti multinazionali o, altrimenti, di grandi istituti bancari, come quelli che il gruppo danese Superflex ha riprodotto in scala vasi da giardino e destinato a coltivazioni di cannabis e piante psicotrope come cactus San Pedro o peyote nel progetto “Investment Bank Flowerpots” del 2015. La serie dei vasi, che riproduce la struttura dei quartier generali di Goldman Sachs, Deutsche Bank, Citigroup e JPMorgan Chase in formato maquette, creando un’associazione diretta tra denaro e droga, è stata inserita nella collettiva “Constructing the World: Art and Economy 1919-1939 and 2008-2018”– in corso alla Kunsthalle di Mannheim fino al prossimo marzo –, che indaga appunto le ripercussioni di due storiche crisi sul mercato dell’arte. D’altra parte, muta anche l’approccio alla pittura, come attesta, ad esempio, la produzione di Navid Nuur. Un artista nativo di Teheran (1976) e residente in Olanda, che nella sua recente mostra “Paintpusher”, nella galleria Plan B di Berlino, s’interroga sull’origine e le caratteristiche dei suoi strumenti, dalle setole del pennello alla trama della tela, e dal ruolo della luce nella rappresentazione a quello alternativo e più concettuale del sapone da barba o della vitamina D, che disciolta sulla tela assume solari tonalità dal ruggine al verde oliva, al rosa salmone, dando vita ad autonome alchimie pittoriche. È un dipingere, quello di Nuur, che sconfina dai tradizionali supporti, assume le qualità di materiali diversi, e si apre allo spazio, mutando via via, da parete a parete, di colore e consistenza. E, in mostra nella collettiva “Out of Office. Art in Business” al Singer Laren Museum in Olanda fino al prossimo 7 aprile, che riunisce 75 anni di arte collezionata dalle maggiori aziende olandesi e di nuovo testimonia la fondamentale moderna connessione tra arte ed economia, torna a parlare di manualità. •