Style/L’Intervista così diversa da me di Marta Galli
«Ho scelto una testimonial che incarna una sensibilità opposta alla mia»: LORENZO SERAFINI spiega come e perché ha voluto mettersi in discussione grazie a una modella che non esiste.
Come raccontare alla platea digitale la sua moda tra innocenza e sensualità, artificio e naturalezza? Lorenzo Serafini, che dal 2015 con il suo nome sigla il marchio Philosophy, epopea di romanticismo lanciata nel 1984 da Alberta Ferretti, per farlo si affida a una modella manga: «Ho scelto un’eroina virtuale, ed è la cosa più lontana da me che io potessi fare. Ma ho deciso di mettermi in discussione: attraverso Internet il mondo ci conosce e voglio capire se i valori in cui credo valgano nell’universo digitale come in quello reale».
Su uno stand pronto a partire dall’eclettico palazzo progettato da Piero Portaluppi – sede milanese del gruppo Aeffe – sono appesi gli abiti destinati a Noonoouri, avatar creato nel 2017 da Joerg Zuber, dell’agenzia di branding tedesca Opium. Si tratta di capi di raffinata fattura, dove la cappa in lana si sposa con un impalpabile chemisier avorio, la gorgiera erompe con noncuranza, il tulle si arriccia in un ricco menu di balze: «Provengono da differenti stagioni, ma rintraccio con soddisfazione un fil rouge». Serafini li ha ripescati per la modella manga – ritratta in esclusiva per Vogue Italia nei luoghi milanesi a lui cari – che ha voluto anche come protagonista della collezione Pre-Fall 2019. «Noonoouri mi permette di dialogare con una sensibilità opposta alla mia e di mettermi alla prova. La mia è una provocazione: cercare di attribuire umanità a un universo intangibile».
Serafini ha un sorriso amabile e contagioso, nasconde l’indole malinconica di chi ha conosciuto un mondo oggi un po’ offuscato. Classe 1973, ha deciso di parlare al pubblico dove il pubblico va ad ascoltare, pur mantenendo fermo il suo punto di vista critico e complesso: «La magia dell’artificio ha lasciato il posto alla più semplice finzione, dominante nell’attuale sovraffollamento d’immagini», dice. Nel cuore gli sono rimasti gli anni ruggenti della moda assorbita nell’inconscio da bambino, quando le rare immagini venivano distillate con forza.
«Sul monitor dei nostri smartphone passa tutto così velocemente che la frenesia ha portato purtroppo a un appiattimento del messaggio». Riconosce però la necessità di confrontarsi con il presente. «Non credo tuttavia che le influencer virtuali pensioneranno quelle in carne e ossa». E individua esattamente cosa questo fenomeno rappresenti. «Le prime blogger, con talento e intuizione, si sono inventate un mestiere e la loro ascesa ha cambiato per sempre la percezione della moda: annullando le distanze temporali, perché tutto sul web avviene nel qui e ora, raggiungendo un numero di utenti inaudito. La moda era diktat, ora somiglia più a una democrazia, e non sono certo che questo sia un bene».
Parla seduto alla scrivania del suo ufficio. La parete alle spalle è tappezzata di ritagli di giornale – ha provato a usare Instagram come aide-mémoire ma continua a preferire l’archivio di riviste e faldoni – dove campeggia il ritratto di un’adolescente Brooke Shields, lì dall’inizio dell’avventura in Philosophy: «Incarna la quintessenza di quel che voglio esprimere. Un misto d’innocenza e sensualità, di artificio e naturalezza».
Oggi più che mai è un gioco d’equilibrio immaginare un marchio le cui radici affondano nella tradizione – a Cattolica in azienda lavorano ancora sessanta sarte –, mentre
«Oggi il mondo ci conosce attraverso la Rete e voglio capire se i valori in cui credo valgano nell’universo digitale come in quello reale».
si parla a un consumatore che forse fatica a coglierne i valori. «Lo sportswear è ovunque, ma non fa per me», commenta Serafini con afflato umoristico, «non sognavo di fare questo mestiere per disegnare le tute». Mentre constata con leggero rammarico l’evaporare di codici e costumi, parallelo all’avanzata della cultura istantanea in formato tascabile, scopre ammirazione per non comuni signore abbottonate nel loro ritegno. «Eppure dal successo dello sportswear traggo il segnale di uno spostamento del gusto: verso comfort e facilità. Così provo a iniettarli nelle mie creazioni, senza snaturarle, in una combinazione di attitudine rilassata e abiti romantici. Ora mi confronto con il web, ma non aspiro al consenso generale, sono felice di rappresentare un’alternativa».
Di Noonoouri, Serafini apprezza l’aggregato esplicito d’atteggiamenti femminili, tanto più che sulla questione evita di prendere un indirizzo concettuale: «La mia è un’idea di femminilità immediata e sentimentale, non ha bisogno di essere capita». Si riconduce a certe icone che sempre costellano il mosaico di ritagli alla parete: «Donne non definite dall’abito che indossano. L’elegante spigliatezza non può mai essere una posa». E oppone la serena continuità del suo modo di concepire un guardaroba ai sussulti della moda che scende a patti con l’e-commerce, in uno scenario dove messaggi s’inseguono e diluiscono, si allentano le regole e l’età anagrafica è sostituita dallo stile di vita. «A tredici anni ho smesso di festeggiare il compleanno», confessa, «ho cominciato ad avere la percezione del tempo e a provare nostalgia». È curioso, o forse non lo è affatto, che una conversazione iniziata parlando di nuove tecnologie atterri sulla nostalgia. Una parola che richiama sentimenti antichi. E allora, che cosa del passato evoca a Lorenzo Serafini questa emozione? «L’attesa. Oggi è completamente fuori moda».•