Style/Il Designer caos cristallino, di Angelo Flaccavento
Tribù, subculture e culti li lascia agli altri. GLENN MARTENS, direttore creativo di Y/Project, crea abiti sospesi tra sregolatezza e rigore. E ora, a Pitti Uomo...
«Da bambino ero ossessionato dai libri di storia. Non facevo che leggere e disegnare personaggi. Alla moda sono arrivato ventunenne e del tutto impreparato, dopo un viaggio ad Anversa», racconta Glenn Martens, trentacinquenne direttore creativo di Y/Project, membro di punta della new wave che da Parigi sta diffondendo per il mondo una dirompente lingua della moda. Un idioma gergale, ruvido e vicino alla strada, indubbiamente lontano dalle torri d’avorio della creazione di moda tradizionalmente intesa. Dei neorealisti che imperversano e provocano, corteggiando sovente i territori perigliosi o respingenti del brutto artistico, Martens è il meno prevedibile perché, per paradosso, è il più legato a una idea classica di bellezza, che distorce attraverso una lente espressionista senza mai cedere alla tentazione de l’art pour l’art. «Opulenza è l’effetto che ricerco», sottolinea, arrotando le consonanti in un sibilo fiammingo. Parla velocissimo, inducendo negli interlocutori uno spasmo di concentrazione per non perdere nemmeno una parola. Suggella ogni affermazione con una risata fulminea, timida più che beffarda, che contrasta con l’aspetto elegante e allampanato – è lungo come una scultura medievale di quelle che si possono ammirare a Bruges, il sonnacchioso gioiello del gotico internazionale nel quale è nato – da novello Arsenio Lupin. «I contrasti sono importanti nel mio lavoro e così l’eclettismo», aggiunge. Il mondo Y/Project invero è una stratificazione di opposti,
di certo nutrita dalla quotidianità della Ville Lumière. La popolano damine avvolte di velluti rococò e issate su tacchi chilometrici da entraîneuse della banlieue, maliarde pompose da museo del Louvre in versione disco, amazzoni in jeans sadomaso drappeggiati sul corpo con la grazia di un’aristocratica ritratta da Boldini. Gli uomini, gaglioffi vestiti con la tuta di acetato e i pantaloni sartoriali, malandrini con il cappotto chiuso a mo’ di bozzolo dentro un velo di nylon che tira le forme di qua e di là – «qui in studio lo chiamiamo il condom», ride lui –, non sono certo da meno. Anzi, promuovono una forma compiaciuta ma irridente di mascolinità che è antidoto tanto al giovanilismo becero quanto ai formalismi che tentano di imporsi come reazione allo status quo, ma che hanno da un pezzo superato la data di scadenza. Li si vedrà a giorni a Pitti Uomo, dove Glenn Martens è designer ospite. «Mi piacciono gli estremi, ma per me è importante che, per quanto distorto, un soffio di eleganza arrivi sempre al pubblico», spiega. È incapace di mezze misure, ma governa il caos con piglio militare. Il segreto del successo di Y/Project sta nella indubbia singolarità estetica, a sua volta figlia del misto sbilenco di sregolatezza e rigore. Gli studi architettonici di Martens, conclusi a Gand, traspaiono sotto quel che a tutta prima appare come un proliferare assurdista di strati e di dettagli, sotto l’allungarsi oltremisura di pantaloni, maniche e finte abbottonate che s’attorcigliano e penzolano per ogni dove. O meglio: gli studi di architettura strutturano cotanta deregulation; la sostanziano, esaltano e irreggimentano. Y/Project, infatti, è in primo luogo un esperimento di design: lo stile che ne definisce l’estetica nasce in fase progettuale, non di assemblaggio in look, ed è il frutto di ricerca sulle possibilità di taglio e materia. Non è un caso che, nello studio parigino che Martens divide con sette membri del team creativo e altri tredici che si occupano di logistica, produzione, amministrazione, si sia scelto un posto strategico al tavolone comune nell’open space: la postazione d’angolo, con affaccio diretto sull’atelier dei modellisti. Pragmatico, semplicemente. «Così non mi sfugge nulla», sghignazza. È agile e determinato, Martens, ma per plasmare l’estetica di Y/Project si è saggiamente preso del tempo, esattamente come si è preso del tempo per trovare se stesso – dopo quel viaggio ad Anversa, ventunenne, decise di iscriversi all’Accademia Reale, presto scoprendo una dirompente vocazione modaiola curata e realizzata con la testardaggine del Toro zodiacale da manuale. Il posto di direttore creativo per Y/Project gli è stato offerto nel 2013, dopo la prematura scomparsa del fondatore Yohan Serfaty, del quale era assistente. «Ho ereditato un marchio di moda maschile dallo stile nero e metropolitano che ho portato lentamente altrove, definendo anche una identità femminile», racconta. «È stato così per mia scelta e per mandato del ceo Gilles Elalouf, che mi ha chiesto espressamente di muovermi in nuovi territori. Quel che è rimasto, dello spirito originale, è una certa ruvidità». In questo movimento lento, fatto anche di sbandate verso il cattivo gusto e l’eccesso, Martens ha forgiato la propria sigla autoriale, riuscendo a sperimentare forme complesse e multifunzionali che invitano gli utenti a giocare, ad libitum. Il caos apparente è figlio di un metodo cristallino, e di una schiettezza che gli fa concludere: «Mi interessa crear vestiti, che voglio siano originali. Tribù, subculture o culti non fanno per me: preferisco gli outsider». Come lui, insomma. •