il nuovo sesso, di Ilaria Bernardini
Le persone non binarie, che già si esprimono nei social con gli hashtag, si fanno largo nell’arte. E l’onda lunga tocca la pornografia. Perché l’indefinito è nella natura dell’eros.
L’utilizzo dei pronomi neutri “loro” e “noi” in riferimento alle persone dalla sessualità non binaria, ovvero che non si vogliono definire né uomo né donna, né “lui” né “lei”, si sta lentamente espandendo. Sono usciti film delicati e intelligenti come “They” di Anahita Ghazvinizadeh. Sono apparsi cantanti come Antony Hegarty, unica persona transgender nominata per un Academy Award, o Rae Spoon, transgender che scrive musica folk fin dagli anni 90. E poi sono arrivati i social, che ora presidiano l’area con la forza degli hashtag #theythem, #nogender, #agender, #pangender. «Nella nostra storia culturale non abbiamo mai ammesso una nozione di terza categoria, o che ci potesse essere qualcosa tra le categorie. I social media hanno promosso questa esplorazione», sancisce Barbara Risman, sociologa della University of Illinois, nel suo saggio “Where the Millennials Will Take Us: A New Generation Wrestles with the Gender Structure” (Oxford University Press).
D’altronde, a ben pensarci, è dall’indefinito che veniamo, dall’incrocio di uomo e donna. L’ambiguo, lo sfocato, l’ermafrodita, il cerchio e il movimento sono da sempre al centro della teoria dell’esistente e dell’eros. Il filosofo Lao-tzu, fondatore del taoismo, metteva in chiaro che prima di tutto vi era un non-essere trascendente e indifferenziato – e non era il nulla, bensì la vita. Così era anche l’ápeiron del filosofo greco Anassimandro, il cui significato è “indefinito” e rappresenta l’“archè”, cioè l’origine dell’universo, e quindi nostra. Dal passato al presente, suona particolarmente puntuale l’invito della poetessa Chandra Livia Candiani che in “Fatti vivo” (Einaudi) scrive: «Non abitare il mondo/non avere casa mai/né luogo né proprio nome, paese, persona/solo densa nebbia. Divisione piccola/frazione/di un punto in un punto in un/punto». L’essere punto, frazione, così come l’essere “loro”, racconta un’idea del sé indefinita e fluida.
Come dice Quinn Eades, scrittore non binario: «La maggior parte della gente vede le persone transizionare da un genere all’altro attraverso trattamenti ormonali, procedure mediche e procedure burocratiche – come cambiare il nome (…). Nella mia scrittura, che funziona per frammenti, voglio rappresentare che per me e per la maggior parte delle persone trans è tutto più complesso di così. Non c’è una narrativa unica, immobile».
Ora che nella narrazione singolare (e di conseguenza in quella collettiva) sono arrivati i pronomi plurali per raccontare il corpo, anche la parte di noi che si confronta con il desiderio esce dalle categorie binarie, si apre allo
sfocato e abita nuovi impulsi, che trovano nello sfuggevole, nel plurale, la loro potenza.
Non sorprende che il porno, in maniera alternativa e laterale, si stia lentamente modificando. Mentre la pornografia ufficiale è ancora fortemente binaria e dà spazio ai generi non conformi di solito in chiave offensiva o sminuente, oggi compaiono canali capaci di trasmettere storie che le persone non binarie vogliono in effetti vedere, come i porno trans prodotti da Trouble Films e Foxhouse Films; e ci sono attrici porno gender fluid come Jane Way, che parla di sé usando il pronome “noi”.
Anche in Italia l’arte underground femminista indaga l’incrocio tra pornografia e sessualità non binaria. Partendo da “Testo tossico” (Fandango Libri) di Paul B. Preciado – filosofo allievo di Heller e Derida che ha iniziato il percorso di transizione dal 2015 e il cui lavoro è centrato su teorie di pornografia e genere –, per esempio, il duo Pornopoetica, e cioè la documentarista Titta Cosetta Raccagni (44 anni) e la danzatrice Barbara Stimoli (40 anni), ha esplorato l’indefinito erotico che «si insinua tra le maglie dell’immaginario pornografico, proponendone una riscrittura». Il dialogo con Preciado, spiegano, «esplora l’oscillazione del desiderio, la sua forza politica che spezza ogni pretesa di normalità. Mobile, instabile, metamorfico e nomade; indeterminato, indeterminabile, non catalogabile». L’intento di Pornopoetica non è lavorare solo sull’eccitazione, ma creare nuovi immaginari erotici.
Lo testimonia l’incontro del duo con la fotografa Alessia Bernardini (40 anni) – già vicina al tema, visto che nel progetto “Becoming Simone” aveva raccontato la storia di un uomo vissuto nel corpo di una donna fino ai 51 anni, quando ha iniziato la transizione. Con “Pleasure Rocks” – una serie di foto (ora libro fotografico in edizione limitata) con sassi al posto di dildos, sassi al posto di bocche, sassi a riempire i vuoti tra seni e pance – Bernardini e Pornopoetica danno forma a una teoria fluida sull’erotico. «È un lavoro sulla relazione tra eros e pornografia, una ricerca su piaceri non convenzionali», dice la fotografa. Colpisce una frase di Preciado usata dalle autrici nelle loro performance: «Non siamo corpi senza organi. Ma una composizione eterogenea di organi incapaci di stare riuniti sotto la stessa pelle». Noi, essi, loro. Come ha scritto su “The Guardian” Robin Dembroff, assistant professor a Yale: «Quando avremo capito le virtù di avere dei pronomi di genere neutrali come “they” per alcune persone, forse li useremo per tutti».• Si intitola Sensuality of The Objects la serie di scatti di queste pagine realizzati da Alexandra Von Fuerst (27 anni) per la rivista Odiseo vol. 9 (gennaio 2017) dello spagnolo Folch Studio. La fotografa indaga la bellezza del corpo femminile spaziando fra erotismo e surreale.