IL PROGETTO E L’IMMAGINAZIONE
Forse perché è nata nel 1980 (giusto all’inizio del decennio che avrebbe liberato l’euforia dell’invenzione linguistica), forse per l’origine friulana, mescolata però a un’ascendenza campana; o per la laurea in architettura e i cinque anni passati sui tecnigrafi di vari studi, salvo poi mollare tutto per aprire un suo atelier di autoproduzione a Milano. Certo è che, in virtù anche di una caratteriale pacatezza, Cristina Celestino è riuscita a elaborare una metodologia di progetto che, anche nel confronto con la grande produzione di serie, la rende libera di disporre delle potenzialità della fantasia in un modo solo suo. Che sia un pattern per tappeto ispirato alle ali delle farfalle (Envolée, cc-tapis) o una composizione con creature sospese tra mondo acquatico e space-age (Planetario, da vedere al Brera Design Apartment), Celestino crea immagini potenti in cui la sua visione del design («passione-ossessione», dice aggiungendo, «le mie figure di riferimento in architettura sono Le Corbusier e Carlo Scarpa») restituisce il rigore del prodotto coerente con la storia delle aziende e le loro potenzialità operative. Per la Design Week torna a lavorare per Fendi (dopo la collezione The Happy Room, 2016), e prosegue
(ora è la friulana Biliani) nel prediletto confronto con le aziende piccole che «offre una grande libertà creativa per la disponibilità a sperimentare: un’esperienza di grande soddisfazione per tutti». Così era già stato nel 2016 per BottegaNove, con cui ha realizzato un rivestimento ceramico che riproduce un piumaggio (Plumage Tiles), dirottando il tema del mosaico artistico in un universo poetico inesplorato. O con la Fornace Brioni, per la quale ha disegnato varie collezioni (l’ultima, Il giardino delle Delizie, 2018) in cui il cotto, in bilico tra nostalgia e tensione progettuale, si esprime in «forme inedite, ma ben ancorate nell’immaginario culturale italiano».
Nello sviluppo di un suo linguaggio contemporaneo, la storia per Celestino ha un rilievo determinante: «Ho studiato allo Iuav a Venezia. Mi piaceva moltissimo la storia dell’architettura; quando mi sono laureata per un momento ho anche pensato: “Faccio la storica”. Poi ho lasciato perdere, ma quell’archivio di immagini e temi accumulato nei corsi resta un riferimento imprescindibile». Sono loro le linee guida dei processi creativi della designer che riconosce per prima “super lunghi”. «Prendo spunto dal mondo della natura, della decorazione; è un lavoro di mimesi che mi interessa che sia esplicito». In realtà l’imitazione non è mai fotocopia perché Celestino ama elegantemente svisare con espedienti ironici, come il fuori scala con cui la torta Charlotte è diventata un pouf di pelle per Sergio Rossi, o la traduzione in altri impieghi di strutture consuete, come le voliere che diventano ripostigli per Seletti. Una trasposizione che applica anche a universi formali diversi, come la gioielleria. «Non perché ami il gioiello in sé, ma la gioielleria è un mondo che mi è naturale prendere a modello per il connubio di bellezza e funzionalità».
Tra grandi marchi del lusso e realtà più dinamiche, Celestino si è ritagliata un territorio tutto suo, Attico, l’autoproduzione cominciata nel 2010 appena arrivata a Milano, legato ai progetti speciali che esulano dalle tipologie più consuete per un designer – l’anno scorso, complice Rubelli, aveva trasformato una storica vettura del 1928 nel Tram Corallo, salotto bomboniera sferragliante per la città.
Quest’anno è un allestimento per la storica pasticceria Cucchi che trasforma in caffè concerto. «In omaggio all’estetica dei dolci ho disegnato una moquette intarsiata con grandi campiture a forma di pera, cui si accompagna una carta da parati realizzata a mano, in fili di seta e lamina metallica (in collaborazione con Misha Wallcoverings) sul tema del lampone in scala gigante». Prendendo spunto dalla passione per l’illuminazione diventata collezionismo, Celestino per Euroluce 2019 ha pensato un omaggio ad Angelo Brotto (1914-2002), art director di Esperia negli anni Sessanta e Settanta, firmando oggi per la stessa azienda le lampade Pulsar e Leila. «È stato un artista designer veneziano, famoso per le sculture luminose che a fine anni 60 ha chiamato Quasar in omaggio ai corpi celesti intergalattici studiati per la prima volta allora». Mentre descrive l’ispirazione rivolta a un passato recentissimo, in cui tutto sembrava possibile e fortemente permeato da un’idea di futuro, e racconta di un immaginario dominato dalla scoperta di galassie abitate da stelle pulsanti e di umani intenti a captare vibrazioni provenienti da profondità perse nel tempo, viene da pensare che nel caso della designer questa visione possa valere da metafora del progetto, non solo come campo del possibile, ma anche come potente atto dell’immaginazione.
Che sia un pattern ispirato alle ali di farfalla o una composizione con creature sospese tra oceano e space-age, Cristina Celestino crea immagini potenti in cui la sua visione del design restituisce il rigore del prodotto coerente con la storia delle aziende: grandi marchi del lusso e piccole realtˆ creative.