I LOVE EU
Se c’è una parola che ho sempre pensato incarnasse il sogno di un’Europa unita, questa è senz’altro Erasmus: il progetto di costruire, attraverso programmi di studio all’estero, una nuova generazione autenticamente comunitaria. Per questo ho trovato illuminanti i dati recentemente pubblicati da Il Foglio (fonte Indire). Da quando il programma è partito nel 1987, scrive il quotidiano, ne hanno beneficiato 5 milioni di studenti. Sembrano moltissimi, eppure non lo sono: calcolando tutta la popolazione scolastica che vi avrebbe potuto accedere, quei 5 milioni sono solo il 2% del totale. In pratica, non esiste una generazione Erasmus. In pratica, un simbolo di un sogno infranto – chissà se definitivamente.
Non è piccola cosa. Non è di burocrazia che si parla, ovviamente. Ma del sogno delle due generazioni che precedono la mia, quelle che hanno visto nell’Europa unita il progetto di pace di un continente devastato da due guerre mondiali; e poi proprio della mia, la prima cresciuta con infinite possibilità di viaggiare e conoscersi, senza dazi, senza frontiere.
Così abbiamo deciso che questo numero speciale de l’Uomo fosse dedicato a raccontare quello che ci unisce, che pensiamo sia ancora più forte di quel che ci divide, e dei molti errori che pur sono stati fatti nel processo di unificazione: un numero tutto scr itto e fotografato da europei, in Europa.
Troverete in queste pagine una serie di lettere d’amore alle nostre terre, un girovagare fatto di storie ed emozioni su e giù per il continente. Vedrete racconti in cui l’acqua è il simbolo di ciò che da sempre ci connette. Viaggerete sui treni dell’Interrail; finirete in Spagna, terra di frontiera. Saprete dell’impegno di artisti che, contro un certo evidente spirito dei tempi, hanno scelto di mettere la faccia a disposizione della causa con azioni concrete: Bernard-Henri Lévy, Roberto Saviano, Wolfgang Tillmans, Emmanuel Carrère e molti altri. Scorrerete i volti degli uomini che venti fotografi di diversi paesi hanno scelto per rappresentare la nostra unione, unita nelle differenze, unita dalle differenze.
E leggerete come ci vedono da lontano: scrittori di altri continenti che osservano questo nostro momento così difficile, alla vigilia delle cruciali elezioni di maggio. Sono qui in rappresentanza di quelli che ci guardano e che, come scrive la poetessa indiana Tishani Doshi, sono persino disposti ad aspettarci - perché lei, l’Europa, «è paralizzata.Tutto è vulnerabile, pallido, e la conversazione sta degenerando. Non posso nemmeno guardarla in faccia perché mi squadra come se fossi una sconosciuta. La amo ancora, l’amerò sempre. Sto aspettando che r itrovi se stessa».