A Vogue’s Tale l’avvocato,
Ogni mese, una storia d’autore liberamente ispirata all’immagine di copertina di Vogue.
Di mio padre sapevo ben poco, se non che era alto e intelligente. Non così brillante da impedirgli di comportarsi in modo normale, ma abbastanza da rendere infelici sé stesso e gli altri. Alla sua morte però ho scoperto che era anche molto ricco. A quanto pareva mi aveva lasciato un’eredità, forse un modo per scusarsi. L’avvocato che mi ha convocata era una donna, cosa che mi ha sorpreso nonostante io stessa fossi una prova vivente dell’ascesa femminile nei vari ambiti della società. A ogni modo mi aspettavo un maschio bianco vestito con un bell’abito di lana, e invece ad accogliermi c’era una donna nera con un’eccentrica camicetta di chiffon e la gonna e gli stivali leopardati. Al suo fianco, come se fosse un assistente, un cane della grandezza di un pony.
Aprendo la porta, si è tirata di lato per darmi modo di guardarla. I capelli erano stirati con la piastra, ma vicino alle tempie si piegavano in tanti riccioli ribelli come i miei. Come me, era alta e snella. Il viso, sì, era diverso: di forma ovale, mentre il mio era spigoloso. Comunque non c’era dubbio che fossimo sorelle. Gli occhi non mentono.
«Per te è stato un vero padre?».
«Sì, assolutamente». «C’è qualcun altro?». «Con gli uomini non è mai detto, ma per quanto mi è dato sapere siamo soltanto io, te, questo cane e una montagna di soldi». Si è accomodata nella sedia di pelle e ha allungato la mano per accarezzare la testa massiccia del cane. Per un bel po’ l’unico rumore nella stanza erano i suoi mugolii soddisfatti.
«Ovviamente», ha detto, «penserai di meritarti il suo patrimonio perché ti ha abbandonata». Ho annuito. «Comunque», ha proseguito, «essendoti stata risparmiata l’esperienza di essere sua figlia, la tua vita ci ha guadagnato moltissimo, a parte la rabbia che puoi aver covato in tutti questi anni».
Il cane si è alzato, ma appena mia sorella gli ha dato un ordine in una lingua che poteva essere spagnolo o portoghese, si è riseduto. «Sorella, hai capito?» mi ha chiesto.
Ho scosso la testa.
«Ho detto questo», ha scandito lentamente come se parlasse a un’idiota, «perché, avendolo conosciuto, mi sono guadagnata ogni centesimo». «E allora dovremo litigare per l’eredità?» ho mormorato.
«Solo se lo vuoi tu» mi ha risposto con un sospiro, per poi sorridermi scoprendo un incisivo aguzzo come il mio. •