chiamata alle arti,
Mostre, raccolte fondi, pubblicazioni: alla vigilia delle elezioni fioriscono iniziative per sostenere il sogno di un’Europa unita e senza confini, minacciato più che mai dalle sirene nazionaliste.
Gli artisti si sono spesso impegnati per una buona causa, per richiamare l’attenzione nei confronti di soggetti deboli o di emergenze collettive. Dopo i grandi concerti organizzati in soccorso del Bangladesh (1971), dell’Etiopia (“Live Aid”, 1985) o per l’ambiente e i malati di Aids (il tributo a Freddie Mercury del 1992, a Wembley), questa volta l’impegno non si traduce in spettacoli stellari, ma in una campagna capillare, diffusa su un intero continente e che investe più discipline. E il soggetto fragile, che necessita un sostegno immediato, per la prima volta è qualcosa di astratto quanto vitale per la libera circolazione delle idee e della creatività: l’Unione Europea, quell’accordo miracoloso tra 28 paesi – a oggi – e che rischia di essere messo in crisi dall’avanzata dei movimenti sovranisti alle elezioni che si terranno dal 23 al 26 maggio, coinvolgendo oltre 400 milioni di votanti.
Rispondendo a una chiamata alle armi dell’ultimo momento, poeti e pittori, attori, fotografi e designer invitati da festival tenuti in numerosi paesi del Vecchio Continente stanno celebrando il valore delle parole chiave che ben riassumono le potenzialità offerte dalle frontiere aperte: nomadismo, metamorfosi, espatrio, contaminazione, influenze, orizzonti. Perché, come racconta l’appello di United Artists for Europe – organizzazione creata dal filosofo Bernard-Henry Lévy insieme al battitore d’aste Simon de Pury e al gallerista Thaddaeus Ropac con lo scopo di raccogliere fondi per progetti culturali transnazionali –, “gli artisti sono viaggiatori il cui lavoro si nutre con ciò che incontrano e scoprono nei viaggi, in esilio o dove trovano riparo. La loro arte non conosce frontiere. Chi più di loro è adatto a difendere l’Europa unita?”. Nell’intervista pubblicata sul numero in edicola de “L’Uomo” il fotografo e attivista anti-Brexit e pro-Ue Wolfgang Tillmans ricorda che mentre i detrattori dell’Unione possono permettersi di adoperare i linguaggi più aggressivi, fino alla distorsione della verità, all’Unione Europea non è concesso promuoversi in alcun modo. Tocca quindi a chi ha ricevuto più benefici personali e professionali prendere la parola (con la Fondazione Between Bridges Tillmans da anni promuove iniziative “unioniste”).
Poeti, pittori, attori, fotografi, designers celebrano il valore delle parole chiave che riassumono le potenzialità offerte dalle frontiere aperte: nomadismo, metamorfosi, espatrio, contaminazioni, influenze, orizzonti.
Il silenzio mette a rischio la ricchezza della nostra scena artistica, anche se parlare della Ue non è facile. Lo sostiene lo scrittore austriaco Robert Menasse (64 anni), che a Bruxelles, cuore politico del continente, ha dedicato un romanzo importante, “La capitale” (Sellerio). «La maggior parte della gente, quando parlo della burocrazia, si annoia. Io sono a favore di questo genere di noia perché non voglio raccontare a nessuno la storia, indubbiamente più emozionante, del collasso della Ue».
L’ultima immagine simbolo dell’unità ha 30 anni: è la caduta del Muro di Berlino nel 1989. C’è chi ora rende omaggio al fertile terreno culturale che ne è stato la conseguenza. La Fondation Cartier pour l’Art Contemporain ha organizzato la mostra “Metamorfosi. L’arte europea oggi”, fino al 16/6 nella sede parigina, che esplora, attraverso il lavoro di 21 artisti scelti tra mille di 16 nazioni e nati negli anni della caduta del Muro, energia e differenze della scena culturale europea odierna. Gli autori coinvolti non hanno studiato nel paese di nascita. All’assenza di confini, la Fondazione ha dedicato la serie di eventi “Nomadic Nights”, crossover di discipline, voci e rappresentazioni che si spostano per mesi attraverso l’Europa; anche solo trasportate dalle onde radio, per definizione senza frontiere. Se c’è un colpevole e poi vittima della gara a disgregare l’Ue, è la Gran Bretagna, con la tragica farsa della Brexit. Forse per riscattarsi, ha lanciato numerose iniziative in tema. Tra queste, un festival teatrale dedicato all’influenza continentale sull’Inghilterra. Il titolo è eloquente: “A Piece of the Continent”. Le opere appartengono ad artisti di nove nazionalità differenti: in comune hanno la residenza in Uk e parlare della libertà d’espressione.
Anche l’arte visiva è schierata a favore dell’importanza delle radici internazionali. Il festival Fotografia Europea che si tiene a Reggio Emilia fino al 9/6 ha come tema portante “Legami, intimità, relazioni, nuovi mondi”. Dal programma: «Dall’io si passa al noi, e dal noi si passa a noialtri, comprendendo l’altro da sé all’interno del proprio orizzonte, non solo ideale». La società è definita quindi dalla libera coesione di coscienze, non dai muri. A votazioni ampiamente concluse, Varsavia ospita, dal 6/6, lo European Design Festival, con oltre duemila creativi da tutta Europa.
È l’ora che sulle barricate a salire sia il popolo dell’arte, perché non finisca tutto come un brano dei Roxy Music del 1973, “A Song for Europe”, cantato anche in francese e in latino, lingua madre della cultura continentale: “There’s no today for us/Nothing is there/For us to share/But yesterdays”. •