né qui, né altrove,
Tre artisti dentro un labirinto: su questa idea Milovan Farronato ha costruito il Padiglione Italia alla Biennale di Venezia. Una sfida di libertà, anche di perdersi, spiega: «Perché di solito gli spazi ci condizionano. Qui invece lo spettatore ha la poss
È un legame che si forma leggendo pagine di letteratura e di critica nella campagna piacentina, dove Milovan Farronato nasce nel 1973. In casa sua nessuno parla d’arte, né ha interessi in quell’ambito. Il contatto diretto, ravvicinato con la natura ne disegna la personalità, che lui definisce «solare e umbratile». Citando le poesie di John Keats o di Emily Dickinson, il Sigmund Freud delle teorie su Mosè, i saggi di Emilio Villa o di Giorgio Manganelli, tra le pagine che hanno nutrito il suo senso dell’arte e della bellezza, aprendo a dismisura l’orizzonte di quel paesaggio padano originario e trasformando il suo approccio diacronico, dinamico ed evolutivo con il sapere in una fondamentale ispirazione.
Stromboli
«Le opere mi piace descriverle, più che interpretarle». Ma potremmo anche aggiungere che Milovan ama soprattutto viverle, perché è un convinto, appassionato militante, che con gli artisti condivide tutto, il lavoro e anche il tempo libero. Ed è proprio da un certo suo irriproducibile modo di essere che sono nati progetti come “Volcano Extravaganza”, la rassegna che si tiene ogni anno a luglio nell’isola di Stromboli. E che, dal 2011 a oggi, ha generato incontri, eventi, momenti che sempre coinvolgono una varietà di artisti in prima persona, chiamati da ogni parte del mondo a condividere con lui la casa, le alchimie di quel paesaggio vulcanico e un fare, un essere nell’arte che sconfina senza stacchi nei rituali del quotidiano. «Stromboli è un luogo d’ispirazione continua», dice. «Puoi svegliarti vicino a Camille Henrot e bere l’aperitivo con Christodoulos Panayiotou», aggiunge pensando a due artisti invitati alle edizioni 2016 e 2018. Peraltro, le esperienze realmente vissute paiono regalargli una speciale velocità e chiarezza nel ricordare date, fatti, definizioni, parole e nomi. L’ottima memoria di chi ha un legame profondo, frontale con le cose e un invidiabile rapporto di familiarità con la scena contemporanea dell’arte.
Faith & Trust
Per volontà di Alberto Bonisoli, ministro dei Beni culturali, Milovan è stato nominato curatore del Padiglione Italia all’imminente 58a Biennale di Venezia (11/5-24/11). Dopo anni d’inarrestabile attività, pubblicazioni, incarichi universitari e progetti curatoriali tra Modena e Venezia, Londra e Istanbul, Polonia e Brasile. E con l’impegno del Fiorucci Art Trust, la fondazione istituita dalla collezionista Nicoletta Fiorucci, che dirige dal 2010. Mostra di possedere le giuste credenziali. È una figura internazionale di successo e convince con il disegno della sua mostra: tre artisti in un labirinto, un percorso da confrontare, in cui perdersi, e un tributo a Italo Calvino. «Normalmente, dal salotto alla chiesa, gli spazi ci condizionano», nota. «Il labirinto, al contrario, offre allo spettatore la possibilità di compiere delle scelte e lo apre a esperienze diverse dello spazio e del tempo».
Labirinti
Si tratta di scelte coraggiose, libere da condizionamenti e convenienze, che definiscono anche l’opera dei tre artisti inclusi da Milovan nella sua mostra “Né altra né questa: la sfida del labirinto”. Opere alle quali è personalmente e profondamente legato di Enrico David, Chiara Fumai e Liliana Moro, che, per quanto assai diverse tra loro, paiono tuttavia accomunate dal gusto per l’affabulazione, labirinti diversi anch’essi e a loro modo di senso e di sensibilità, di motivi e di trame. Tre esempi possibili di anastrofe, inversioni eversive di linguaggio che penetrano e destabilizzano l’ordine delle cose, la complessa intricata rete del nostro conosciuto.
Relazioni
«Liliana Moro l’ho incontrata da Emi Fontana nel 2005 e poi invitata alla mia prima collettiva “Egomania” nel 2006. Chiara Fumai, invece, l’ho conosciuta in via Farini nel 2008-2009, quando vistavo i portfoli di giovani artisti una volta alla settimana. La sua personalità squinternata in senso positivo mi ha subito colpito, l’ho segnalata su “Exibart” e siamo rimasti amici. Poi, quando nel 2013 ha partecipato a “Documenta”, curata da Carolyn Christov-Bakargiev, il Fiorucci Art Trust ha supportato il suo progetto. Enrico l’ho visto per la prima volta sulle pagine di “Mousse”. E poco dopo è diventato protagonista della prima personale che ho curato a Venezia, nel 2011, per il Bevilacqua La Masa. In seguito, l’ho invitato anche a Stromboli». «Quel che la letteratura può fare è definire l’atteggiamento migliore per trovare la via d’uscita, anche se questa via d’uscita non sarà altro che il passaggio da un labirinto all’altro», scriveva Calvino sulla rivista “Il Menabò” nel 1962. E anche il Padiglione Italia di Milovan, di cui Gucci è main sponsor (con FPT Industrial), invita a sfidare lo spazio, a perdere e a ritrovare il filo del discorso, a personalizzare l’esperienza del tempo e il punto di vista sulle opere. Per Milovan l’arte non va solo guardata, ma anche sentita, fatta passare e vivere dentro di sé. Interiorizzata. E felicemente esternata.
Iconicitˆ
Anche per questo, più che una persona è un’icona Milovan Farronato, che con i capelli raccolti in casuali scomposti chignon unisce al suo maschile una parte femminile che si esprime fiera, libera e solare. Una parte che ama i colori e gli abiti firmati, tocchi di glamour, cui non rinuncia, di un guardaroba che trascende i generi e occupa una stanza intera della sua casa. Ed essendo la camera degli ospiti, è anche un guardaroba condiviso e scambiato con gli amici, coinvolto in progetti d’artista, distintivo del suo modo di relazionarsi. «Poi quando arriva la carnevalata, invito tutti a scegliere uno dei miei look e a diventare me». Un modo come un altro dei suoi di portare l’arte nella vita.•