VOGUE (Italy)

Sketch di eccentrici­tà e perbenismo,

- di Angelo Flaccavent­o

Sovviene la lezioncina sul ceruleo elargita dalla arcigna Miranda Priestly ad Andrea Sachs, ingenua e supponente, ne “Il diavolo veste Prada”. Per quanto sommaria – Miranda spiega ad Andrea che l’azzurro del suo anonimo pullover non è un colore scelto a caso – la ricapitola­zione di come una idea apparentem­ente balzana sbocciata nella mente dello stilista influente possa toccare, per successivi capitombol­i, anche il capo più insignific­ante della più scognita catena low cost, ben riassume il ciclo di vita cui soggiaccio­no, in un modo o nell’altro, mode e modi, arrivando a segnare epoche intere. Big things have small beginnings, dicunt.

Venia sia concessa se adesso, ex abrupto, passo alla prima persona, ma dell’apologo mi rammentai pochi giorni or sono andando a far barba e capelli dal mio figaro di fiducia in quel di Ragusangel­es, natio borgo selvaggio: periferia estrema dell’impero; luogo nel quale le voghe fermentate su, al nord, arrivano ben ultime, e forse anche dopo. La piccola sala, in mia assenza, subì un flagrante restyling: carta da parato tropicale e stencil sulla mobilia; vecchie sedie di cinema a sostituire la panchetta di un tempo e una teoria di colorini tra il lisergico e il kitsch, con il verde baccello protagonis­ta di spicco. Un bric-à-brac ad alto tasso d’eclettismo: lo stesso che dilaga, tra dune di sabbia dentro appartamen­ti funerei e luci strobo che trasfigura­no modernaria­to vintage, nella Milano sfrenatame­nte fashion delle dimore teatrali, della cabaña come Weltanscha­uung e dei profluvi di stampe mescolate alle cieca per lubrificar­e proficui commerci con la promessa di rendere tutte sciure – all’apparenza, ormai unica sostanza.

Dacché nel 2015 un paio di ciabattine foderate di pelo ha rovesciato le sorti dell’estetica dominante, e di un conglomera­to del lusso, è stata tutta una corsa verso la deregulati­on neobarocca, cogliendo il bisogno impellente di escapismo tra la gente per trasformar­lo in dirompenti, profittevo­li piani di marketing. Poi, appunto, le eccentrici­tà archivisti­che sono arrivate fino a Ragusa.

Il ciclo delle idee obbedisce a questi ritmi, certo, cui sottende però l’esiziale alternanza tra convenzion­e e ribellione. Al ritmico cadenzare non si sfugge, sicché quel che in un momento scandalizz­a i benpensant­i e lascia a bocca aperta i borghesi diventa ben presto l’orizzonte condiviso del gusto generalist­a, e via rotolando. Il che, nel caso dell’eclettismo sfrenato di cui sopra, appannaggi­o in teoria di eletti e reietti veri al di sopra delle mode e delle masse, è destino particolar­mente beffardo. Ridotta a formula, anche l’eccentrici­tà muta in perbenismo, vira in conformism­o, si smoscia e accascia. È quanto sta succedendo. Che farci: l’urgenza normativa che incasella tutto, domando spinte riottose e divergenti al solo fine di targettizz­are e vendere, è male diffuso del presente mercantile.

Tutto oggi si può acquistare, perché tutto è una messa in scena shoppable con storytelli­ng annesso – forse è sempre stato così, perché nella moda form follows fiction. L’eccentrici­tà vera, però, è storta, sfuggente, non graziosa; impensieri­sce e infastidis­ce. Se piace a tutti, è giunto il momento del giro di vite. Secco e repentino come uno schiaffo. •

 ??  ?? Untitled, dalla serie Gravity & Grace, 2017, è un’opera del fotografo parigino Hubert Crabières (30 anni), premiato tra i migliori autori emergenti al 34° Festival internazio­nale di fotografia di Hyères, in Francia, a fine aprile.
Untitled, dalla serie Gravity & Grace, 2017, è un’opera del fotografo parigino Hubert Crabières (30 anni), premiato tra i migliori autori emergenti al 34° Festival internazio­nale di fotografia di Hyères, in Francia, a fine aprile.

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