Front l’elogio del difetto,
Tratti imperfetti, eccentrici. Corpi generosi, fisici disabili. Sono la nuova guardia di una generazione di modelle, ognuna portatrice di una peculiare bellezza, che sta finalmente ridefinendo i canoni.
Per decenni tra i termini “inclusione” e “luxury fashion” c’è stata una dissonanza abissale, ma per una nuova generazione di consumatori socialmente consapevoli, l’immagine – obsoleta – di un’industria della moda priva di rappresentatività in termini di genere, taglia, talento ed età è diventata pressoché incomprensibile. Sempre più spesso negli ultimi mesi si è avuta la sensazione che si stiano abbattendo barriere e distruggendo preconcetti deleteri, chiedendo in sostanza a ognuno di noi di ridefinire quello che riteniamo bello.
Oggi assistiamo al tramonto di quel concetto di bellezza cisessuale ed eurocentrico cui ci siamo uniformati per molto tempo e, di conseguenza, stiamo aprendo la strada a una serie di modelle che sfidano gli stereotipi, spingendo stilisti, redattori, direttori di casting e fotografi a riconsiderare le proprie scelte a livello di immagine. Molti sono gli esempi. La cantante ventiseienne Dani Miller è ritratta senza ritocchi in tutta la sua bellezza irregolare, a cominciare dalla dentatura imperfetta, nella nuova campagna beauty di Gucci; Ashley Graham, 31 anni, è la prima modella taglia 50 a sfilare per Michael Kors e Dolce&Gabbana; ispirazione per innumerevoli colleghe velate come Ugbad Abdi (favorita di Valentino), la ventisettenne Halima Aden ha fatto la storia posando con l’hijab, e ora ha polverizzato una volta di più i cliché comparendo nel paginone centrale di “Sports Illustrated” come prima donna in burkini e hijab. La foto che la ritrae distesa sulla spiaggia di Watamu, in Kenya – Aden è nata e cresciuta nel campo profughi di Kakuma, proprio nello stato africano – chiude il cerchio per il suo peso concettuale e la sua influenza: sì, una rifugiata di colore, musulmana e in burkini, è universalmente apprezzata per la sua bellezza. È il 2019. Questa è la nuova guardia.
Grazie a tutto ciò stanno emergendo diverse icone che si distinguono per la propria individualità e si impegnano a fare in modo che rappresentatività e visibilità nella moda non siano effimere operazioni di facciata dettate dal politicamente corretto, ma diventino un impegno a lungo termine, e profondamente radicato nel sistema.
La ventisettenne Paloma Elsesser, musa della make-up artist Pat McGrath (è già apparsa sulle copertine di “Vogue” Uk, Arabia e Mexico ed è stata protagonista delle campagne di Proenza Schouler e di Eckhaus Latta), è divenuta la voce di una nuova generazione. Per molto tempo, delle modelle plus-size è stata data un’immagine fatta di pose glamour che sfidavano la legge di gravità, trucco pesante e styling ultrafemminile. Quando è entrata in scena, perfettamente a suo agio con addosso un mix di capi dal taglio maschile di Celine, Supreme e Fendi vintage, Elsesser ha rotto gli schemi, riscrivendo i codici estetici di una modella XL.
«La gente finalmente sta capendo che non esiste un solo tipo di bellezza e che l’inclusività è l’unica via da percorrere per progredire», afferma la ventiquattrenne Jazzelle Zanaughtti, nata a Detroit, conosciuta anche come @uglyworldwide dai suoi 542mila follower su Instagram. Scoperta dal fotografo Nick Knight proprio sulla piattaforma social, la modella è diventata un emblema della fluidità di genere apparendo sulle copertine di “i-D”, “Interview” e “Paper” e sfilando per marchi come Y/Project e Gareth Pugh e per la linea Savage x Fenty di Rihanna. È merito suo se molte delle caratteristiche che ne hanno fatto un volto da copertina nonché una paladina della bellezza non convenzionale – capelli rasati, gold grillz, sopracciglia decolorate, queste ultime esibite anche da Gigi Hadid nella campagna P/E 2019 di Prada – sono ormai considerate normali nel mondo della moda. Come icona millennial, invece, il
Oggi assistiamo al tramonto di quel concetto di bellezza cisessuale ed eurocentrico cui ci siamo uniformati per molto tempo, e stiamo aprendo la strada a una serie di modelle che sfidano gli stereotipi spingendo stilisti, redattori, direttori di casting e fotografi a riconsiderare le proprie scelte a livello di immagine.
suo atteggiamento di sfida, a sostegno di eccentricità e individualità, è diventato il grido di guerra della nuova generazione. «Non conformatevi mai, difendete ciò che siete e ciò in cui credete e non arrendetevi mai», dichiara, prima di sottolineare che questa “new wave” di inclusione le scalda il cuore e la fa sentire confusa: «Ora @uglyworldwide non sono più solo io, ma una comunità. Una comunità di emarginati, svitati e persone che si sentono pesci fuor d’acqua, ma che comunque scelgono di fare la loro vita senza essere frenati dagli standard uniformanti della società».
Ma se l’industria della moda comincia ad abbracciare il concetto di rappresentatività per quanto riguarda taglia, razza e genere, quando si tratta di modelle con disabilità la questione si fa pressante: oltre a Jillian Mercado – affetta da distrofia muscolare e apparsa nel 2014 nella campagna #Dieselreboot –, anche la transgender diciottenne Aaron Philips, di origini antiguo-americane, ha giustamente preteso di avere un proprio spazio. «C’è ancora molto da fare per essere pienamente accettati, ed è comprensibile», dice, «ma si stanno facendo comunque molti passi avanti. È importante che questi argomenti vengano affrontati a livello di sistema e ci si renda conto che le persone con disabilità, in particolare le modelle, possono essere belle e generare profitti allo stesso modo delle altre».
Apparsa su “i-D” e “Paper”, Aaron Philips si dichiara sinceramente speranzosa riguardo al futuro della diversità. «Spero che si valutino iniziative per includere i disabili in territori fino a ora sconosciuti, come le passerelle, le copertine importanti, le campagne di moda e di beauty. Più di ogni altra cosa, voglio raggiungere il successo nella mia carriera dando vita a discussioni e dibattiti, e contemporaneamente vivere la mia vita nel modo più autentico possibile. Continuando a essere la donna che sono». •