le forme dello sport, di Barbara Amadasi,
Dopo aver conquistato campi di gioco tradizionalmente maschili, le donne infrangono gli stereotipi e rivendicano la bellezza atletica dei loro corpi. Mentre l’activewear si fa inclusivo e offre spazi di libertà.
Se le donne dello sport hanno già abbattuto molte barriere entrando in templi tradizionalmente maschili, ora è il loro fisico a finire al centro dell’impresa. Sbiadito lo stigma culturale, il preconcetto si è riconfigurato sul corpo. Allora diventa oggetto di discussione quello dell’atleta sudafricana Caster Semenya, considerata troppo “mascolina” per gareggiare con le donne, mentre un report realizzato nel 2019 per il Parlamento europeo rivela come le atlete nei media siano “ipersessualizzate”, rappresentate prima come donne; e se si sentono bene nel loro corpo in campo, fuori si percepiscono meno attraenti.
Il desiderio di affermare una libertà estetica e concettuale trasforma così molte icone dello sport in role models, e si esprime anche attraverso scelte di stile. Serena Williams, criticata per la struttura possente, sfida il cliché del fisico sgraziato giocando con crop top, tutù e black catsuit – «Amo il mio corpo, non cambierei nulla. E voglio influenzare le ragazze come me, perché si sentano bene con se stesse», ha dichiarato. Alex Morgan, attaccante della nazionale Usa, coltiva la fiducia nella propria immagine eccellendo in campo e posando in bikini per lo Swimsuit Issue di “Sport Illustrated” – «Non importa se ho le gambe più grosse del resto del corpo, sono orgogliosa del mio lavoro e del fisico che ho» – accanto alla collega Crystal Dunn, tormentata dalla bassa statura, e alla ginnasta Simone Biles, che ha rivelato di essersi a lungo vergognata dei suoi muscoli ipersviluppati. Inclusione, identità, self-confidence nello sport restano una questione controversa. Mentre uno studio condotto negli Usa rileva come i centri fitness siano poco accoglienti per le persone oversize, dai loro account Instagram le istruttrici di yoga plus-size americane Jessamyn Stanley e Amber Karnes motivano migliaia di donne ampliando gli orizzonti di questa pratica con la body positivity.
La moda, dal canto suo, abbraccia i valori dello sport, sfuma i confini tra “campo” e vita, lascia trovare nuovi spazi di libertà. Griffe del lusso investono su un activewear di ampia vestibilità, mentre maison sportive come Adidas e Nike ampliano il fitting delle linee e inaugurano collaborazioni con una nuova wave di designer in un mix di couture, sport e streetwear. Nascono così le quattro capsule ispirate ai Mondiali di calcio femminili (in Francia dal 7/6 al 7/7) disegnate per Nike da Christelle Kocher (che aveva già creato ibridi patchwork con le maglie del Paris Saint-Germain), Marine Serre (la cui cifra è la luna crescente), Erin Magee, firma dello streetwear più dissacrante, e Yoon Ahn di Ambush: sulle sue maglie-Happi (abito tradizionale giapponese) c’è il numero 11, due caratteri affiancati simbolo di unità e solidarietà. •