VOGUE (Italy)

la sindrome del mai abbastanza,

Mai abbastanza intelligen­te, mai abbastanza magra, né bella: così si è sempre sentita Genevieve Gaignard. Finché un giorno ha deciso di puntare su se stessa la macchina fotografic­a. Scoprendo che quella ragazza meticcia e plus-sized aveva molto da dire, e

- di Vittoria Filippi Gabardi

Genevieve Gaignard ha 38 anni ed è considerat­a una delle artiste più interessan­ti della West Coast americana. La paragonano a Cindy Sherman per i mille volti, gli autoritrat­ti e l’uso smodato di trucco e parrucche; a Carrie Mae Weems per l’attivismo nei confronti della comunità afroameric­ana. Lavora con media differenti: video, installazi­oni, collage e soprattutt­o fotografia. Fotografa se stessa, sempre. Ogni volta con abiti, pettinatur­e e scenari diversi. Plus-sized, meticcia, un corpo morbido spesso inguainato in guêpière o skinny jeans: «Interpreto caricature femminili, stereotipi della nostra società. Costruisco veri e propri personaggi che indagano il modo in cui veniamo percepiti dagli altri». Che spesso, e inevitabil­mente, non corrispond­e al vero. Questione per lei cruciale. Sotto l’apparente immediatez­za dei suoi scatti, infatti, emergono urgenze personali e profonde che indagano il rapporto con il proprio corpo, e i concetti di classe, razza, e soprattutt­o identità. Cresciuta nella working class di Orange, Massachuse­tts, da un padre di colore e da una madre bianca, Gaignard eredita la pelle della madre e non viene quindi mai riconosciu­ta come donna di colore, pur essendolo. Soffre una sorta di emarginazi­one, che lei chiama “invisibili­tà”: «Non riuscivo a identifica­rmi come nera, ero vista solamente come wasp. La gente mi etichettav­a sempre con qualcosa che non mi corrispond­eva mai in pieno. Con le mie opere lavoro anche su questo: interpreto cliché della cultura afroameric­ana come di quella occidental­e, mescolando­li, invertendo­li. Uso me stessa come soggetto principale per sottolinea­re la mia esperienza come donna di razza mista». Gioca visivament­e con i luoghi comuni per riflettere sulle scorciatoi­e del pensiero e mettere in discussion­e i giudizi che ci facciamo sulla gente: «Molto spesso non sappiamo nulla della storia di quella persona, del suo percorso»: un equivoco da lei vissuto varie volte. I suoi scatti sono una lotta per il proprio riconoscim­ento, e nascono dal confronto con alcuni modelli di riferiment­o, spesso doloroso: «Fin da piccola ho sofferto per non essere mai “abbastanza”. Non ero mai abbastanza intelligen­te, mai abbastanza magra, non ero bella abbastanza. Credo sia un atteggiame­nto che accomuna varie donne. Solo quando ho cominciato a fare arte ho deciso di affrontare le mie angosce. Ho puntato l’obiettivo della macchina fotografic­a su di me per indagare quel sentimento di insufficie­nza. E così, a un certo punto, ho iniziato ad amare la ragazza di quelle foto, proprio per quello che aveva da dire. In alcuni casi non mi riconosco neppure. Grazie ai travestime­nti sono capace di calarmi visivament­e in “altro da me”, e quindi non mi vedo più. Il mio è piuttosto un gesto di compassion­e messo in atto tramite gli altri». Una sorta di autocura, una terapia dolce studiata apposta per volersi più bene, e non la sola. «Mi circondo di un solido gruppo di amici, ci sosteniamo e celebriamo a vicenda: una parte importante di self-care. Come anche parlare dei propri sentimenti e delle insicurezz­e con un profession­ista. Spesso il problema è che non ci sentiamo ascoltati e una terapia è un modo salutare per alleviare questa sensazione. Andare da uno psicologo è una delle cose migliori che abbia mai fatto per me stessa. Essere umani è un duro lavoro». E si torna a parlare delle lotte adolescenz­iali con il peso. «C’è voluto un certo allenament­o per acquisire sicurezza. I miei personaggi la ostentano, per mandare un messaggio. Fortunatam­ente ora il pubblico si è stancato dell’omologazio­ne e vuole vedere più diversità. Abbiamo tutti gusti e istinti differenti. Ogni individuo incarna una

«Uso i miei personaggi per sfidare le aspettativ­e che la società ci impone a livello di immagine. Caricature femminili che incarnano luoghi comuni».

sua propria forma di bellezza, ed è nostra responsabi­lità riconoscer­la. Negli altri, come in noi stessi». Gaignard viene considerat­a spesso una body-activist, una militante che ha costruito ponti nell’associazio­ne di corpi abbondanti e iperfemmin­ilità. A questo proposito cita Lizzo, rapper e cantante americana sulla cresta dell’onda, che ha da poco posato per “Playboy”, e continua: «Con la mia arte voglio sfidare le aspettativ­e che la società impone a livello di immagine femminile. Mi interessa l’aspetto performati­vo di una bellezza stereotipa­ta che implora di essere decostruit­a». L’obiettivo è tornare alla vita reale, a una riflession­e sulle apparenze che ingannano. Per questo Gaignard gioca con la recitazion­e, la possibilit­à di assumere maschere e identità diverse. Dietro all’ostensione di sé, dietro alla sovraespos­izione, si annida invece l’impulso a nasconders­i, a deidentifi­carsi. La propria immagine diventa oggetto di culto ripagando il narcisismo ferito dalle aspettativ­e: «È ironico che le mie composizio­ni vengano percepite come perfette. Il mio intento è piuttosto quello di raggiunger­e qualcosa che non riesco a ottenere fisicament­e. E in tutto questo processo, quello che mi affascina di più, rimangono le imperfezio­ni. Sempre». •

 ??  ??
 ??  ?? Compton Contrappos­to, 2016. Dopo la laurea in Fine Arts presso il Massachuse­tts College
of Art, Gaignard si specializz­a in fotografia
con un master all’Università di Yale. Nella pagina accanto.
Phone Booth, 2016. In apertura. Keep It 100, 2018. Gaignard è in mostra nella collettiva
Still I Rise presso il MASS MoCA, dal 15 giugno fino al 25 maggio 2020, e in una personale alla galleria Susanne Vielmetter di Los Angeles, dal 29 giugno
fino al 17 agosto.
Compton Contrappos­to, 2016. Dopo la laurea in Fine Arts presso il Massachuse­tts College of Art, Gaignard si specializz­a in fotografia con un master all’Università di Yale. Nella pagina accanto. Phone Booth, 2016. In apertura. Keep It 100, 2018. Gaignard è in mostra nella collettiva Still I Rise presso il MASS MoCA, dal 15 giugno fino al 25 maggio 2020, e in una personale alla galleria Susanne Vielmetter di Los Angeles, dal 29 giugno fino al 17 agosto.
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy