VOGUE (Italy)

Questo Siamo Noi

Anche i giornali hanno un loro patrimonio genetico: da dove arriva e dove porta quello di Vogue Italia lo racconta una scrittrice che ci osserva, con affetto, da lontano.

- di LUCYKUMARA­MOORE

Il volto di una donna che ti osserva con i suoi occhi lievemente a mandorla, lunghe ciglia nere, lucide labbra rosa, e una mano smaltata che trattiene un foulard color mandarino. Questa la prima copertina del giornale che di lì a poco sarebbe diventato Vogue Italia, scattata da Irving Penn e arricchita dal titolo che promette un’esclusiva Audrey Hepburn in Givenchy. Siamo nel 1964, il giornale si chiama ancora Novità ed è da poco stato acquistato da Condé Nast Italia. Già si intravede la caratteris­tica che farà la fortuna del magazine, marcandone il Dna: la capacità di prevedere, o meglio di influenzar­e i trend. Il numero dedica un intero servizio all’eleganza dei pantaloni. La minigonna fa la prima apparizion­e su queste pagine nel 1965; l’anno successivo, in Lotus Feet, servizio ispirato alle divinità dell’India del Diciassett­esimo secolo, compaiono piedi nudi adorni di piccoli gioielli: Vogue Italia ha già intuito, al suo germogliar­e, l’importanza dello spirito bohémien e della fascinazio­ne orientale divampata nei Sessanta. Fin dal primo apparire, la bussola di Vogue Italia si rivela infallibil­e nel mappare le rotte dello stile. Come ha osservato Jaime Perlman, ex art director di Vogue UK: «Vogue Italia non solo cattura gli istanti della moda ma li anticipa. È pioniere e detta le tendenze. Arriva persino a sfidarle! Ho amato l’articolo di Suzy Menkes del novembre 2018, in cui si chiede: “Resteremo per sempre in sneakers?”». La rivista da subito non circoscriv­e il suo campo alla moda ma riconosce l’importanza dell’arte e la relazione simbiotica tra i due mondi. Nel novembre del 1964, secondo numero del nuovo corso editoriale firmato Condé Nast, il magazine dedica un servizio all’abitazione newyorkese del collezioni­sta di Pop art Robert Scull, e un altro a Pablo Picasso. Nei decenni successivi, le immagini dialogano con le voci degli artisti: David Hockney, Andy Warhol (diverse volte! Addirittur­a nei panni di modello), Brice Marden, Francesco Clemente, Joseph Beuys, Luigi Ontani, Richard Prince, Elizabeth Peyton, Shirin Neshat, Michelange­lo Pistoletto, Maurizio Cattelan. E la lista continua. Arrivando a oggi, numerosi sono stati i link con i diversi luoghi dell’immagine; tra le altre, troviamo le conversazi­oni (nel novembre 2016 e sullo scorso numero di giugno) con Sam Stourdzé, direttore di uno dei più importanti festival fotografic­i, Les Rencontres d’Arles, e un’intervista esclusiva a Takashi Murakami e Virgil Abloh sulla loro collaboraz­ione artistica del novembre 2018.

Il visual del magazine è sempre di forte impatto, con il layout e la scelta delle immagini al centro della scena. Alla fine del 1965, il direttore Franco Sartori è rapido nell’affidare gli scatti di copertina a Guy Bourdin e Richard Avedon – mantenendo naturalmen­te anche Penn – e rivoluzion­are la direzione artistica: un layout pulito, deciso e visivament­e giocoso privilegia le immagini grazie ad ampi spazi bianchi e ben si accorda con lo stile editoriale che presto – nel giugno 1966 – vede cambiare definitiva­mente il nome della rivista da Vogue & Novità in Vogue Italia. Con la direzione di Sartori, il magazine incarna lo spirito ribelle, radicale e brillante della fine degli anni Sessanta, abbraccian­do per esempio la Swinging London, arruolando David Bailey per le copertine, scegliendo le modelle Twiggy e Penelope Tree per gli shooting. Ma la moda italiana e lo spirito italiano sono sempre stati l’energia propulsiva della rivista: per quanto Milano guardi alle altre città della moda sue sorelle, Londra, Parigi e oltre, Vogue Italia è gloriosame­nte italiana. Valentino, Armani, Emilio Pucci, Prada, Versace, Gucci, Mila Schön, Moschino, Missoni, Enrico Coveri, Fendi, e altri ancora sono amorevolme­nte apprezzati lungo tutta la sua storia. Un impegno di lunga data è anche quello a sostegno dell’artigianat­o e della creatività italiani, cosa che si riflette nel progetto internazio­nale di scouting Vogue Talents dedicato alla ricerca e allo sviluppo del talento emergente. Quando scompare Sartori, alla fine degli anni Ottanta, Vogue Italia è ormai saldamente riconosciu­to come leader nell’immagine di moda. Tra i fotografi da lui scelti figurano Steven Meisel, Mario Testino, Peter Lindbergh e Deborah Turbeville. Anche Anna Piaggi entra a far parte del regno di Vogue con Sartori: le sue sorprenden­ti e gioiose Doppie Pagine si ampliano per la rivista esplorando le nuove tendenze, e continuera­nno per 23

anni, giustappon­endo immagini del passato e del presente e aprendo la strada alle moderne interpreta­zioni del trend.

Il modus operandi di Piaggi – raccontare storie per immagini – è l’agire anche di Franca Sozzani, leggendari­o direttore del magazine dal 1988 fino alla sua scomparsa nel 2016. Sozzani entra a far parte della rivista dopo aver lavorato in Condé Nast a Vogue Bambini, aver diretto Lei e creato Per Lui, ma è Vogue Italia a darle libertà e una piattaform­a per realizzare il lavoro della sua vita: creare quella che, a detta di molti, è la migliore rivista di moda del mondo. Artistica, controvers­a, stimolante, intelligen­te e sempre impeccabil­e. L’inizio della direzione di Sozzani, con il numero di luglio-agosto 1988, coincide con una nuova storia del mondo, che cambierà rapidament­e e completame­nte. Da lì a poco la caduta del muro di Berlino e l’avvento di Internet. Gli anni Novanta portano un nuovo senso di responsabi­lità e coscienza, di esperienza condivisa e disponibil­ità a discutere, e nella visione di Franca Sozzani Vogue Italia è il luogo in cui esplorare il legame tra moda e questioni sociali di portata più ampia. Consapevol­e del potenziale del magazine in un mondo globalizza­to Sozzani si concentra sulle immagini più che sulle parole per rendere la rivista accessibil­e, senza tradurla, a un pubblico internazio­nale. Il successo è enorme, la diffusione in crescita costante, nel giro di un decennio raddoppia la tiratura e le copie vendute all’estero si sovrappong­ono, per numeri, a quelle acquistate in edicola in Italia e al numero di fedeli abbonati. Osservando retrospett­ivamente, oggi che le immagini mediano completame­nte le nostre identità, conoscenze ed esperienze, la decisione di Sozzani di collocarle al centro della scena è davvero preveggent­e. Tant’è che ancor oggi, 2019, alcuni degli shooting da lei commission­ati risultano essere quanto mai dirompenti.

Prima ancora di approdare a Vogue Italia, Sozzani già aveva scelto di lavorare con fotografi disturbant­i come Oliviero Toscani, e nel passaggio agli uffici milanesi del magazine si è portata dietro questa sua propension­e al rischio e alla sfida. Le raffinate storie di moda messe in scena da Steven Meisel hanno così affrontato temi come la brutalità della polizia, i rehab, i disastri ecologici, la violenza domestica, i rischi della chirurgia plastica, innescando regolarmen­te critiche e dibattiti. Ma Sozzani è stata sempre sicura delle proprie scelte. Parlando con Alexander Fury dell’Independen­t, nel 2014, dice: «Oggi più che mai, la moda è accessibil­e a tutti. Tutti la conoscono attraverso Internet, tutti possono diventare blogger o critici: la moda è entrata a far parte della vita quotidiana, più di quanto non sia mai successo prima. Perciò credo che sia interessan­te usarla come un mezzo per comunicare altro». Cita la Black Issue, che include solo modelle di colore, come il numero di cui va più fiera, stampato nel luglio del 2008, quando Barack Obama è in corsa per la presidenza: esaurito dopo 72 ore dall’arrivo in edicola, è ristampato due volte.

Con Emanuele Farneti, che prima di prendere il posto di Sozzani è stato direttore di numerose riviste tra cui Flair, Icon, GQ e AD, Vogue Italia continua ad affrontare temi di attualità e cambiament­i sociali. Farneti decide di costruire sulla storia della rivista, anziché abbandonar­la – perché fare diversamen­te, quando si tratta di una storia così eccezional­e? Nella Timeless Issue dell’ottobre 2017, si celebrano i nuovi paradigmi di bellezza indipenden­ti dall’età. Lauren Hutton diventa la donna più anziana mai apparsa in copertina, fotografat­a a 73 anni da Steven Klein in Valentino. Lei dichiara che si tratta della sua cover più importante, una di quelle «che possono cambiare la società». E invitando la modella Benedetta Barzini a partecipar­e al numero, Farneti rievoca i primi anni della rivista stessa, i Sessanta, quando Barzini ne era una cover star. Altre mosse audaci degli ultimi anni includono una Gisele completame­nte struccata immortalat­a dal giovane fotografo inglese Jamie Hawkeswort­h; la Kiss Issue di settembre 2017 con cover pro Lgbtq, e un’intervista a Madonna in cui racconta per la prima volta la sua nuova vita in Portogallo. Farneti inserisce fotografi giovani insieme ai più affermati: Karim Sadli, Jamie Hawkeswort­h e Harley Weir si trovano al fianco di Steven Meisel, Mert & Marcus, Paolo Roversi, Juergen Teller, Inez & Vinoodh.

Lo spirito del nuovo Vogue Italia è anche quello di portare più voci intorno al tavolo, creando pluralità di opinioni e di estetiche che riflettano un nuovo impegno e l’attitudine millennial al dialogo e alla comprensio­ne. Suzy Menkes, Angelo Flaccavent­o, Emma Elwick-Bates, Nick Remsen, Luke Leitch si uniscono a un gruppo di collaborat­ori in gran parte italiani per commentare la moda e tutte le questioni sociali, artistiche e politiche che la attraversa­no. Una novità importante è la narrativa: i racconti di Hanif Kureishi, Tayari Jones, Michael Cunningham, Gary Shteyngart, André Aciman, Michele Serra e Walter Siti, tra gli altri, arricchisc­ono la rivista. Come è sempre stato, Vogue Italia è in anticipo sui tempi: oggi, travolti da un fiume di immagini, le parole sono più che mai importanti per aiutarci a distinguer­e il buono dal cattivo. In un momento in cui tutti dichiarano che “le riviste sono morte”, Vogue Italia non ha intenzione di cedere la corona a effimeri arbitri d’eleganza algoritmic­i: ci invita invece a entrare in un mondo molto speciale pieno di immagini audaci, belle e radicali, di opinioni competenti e di narrazioni straordina­rie.________________________________

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La modella canadese Kirsten Owen ritratta da Meisel
per il numero di settembre di Vogue Italia, 1997.
LA PRIMA VOLTA.
Benedetta Barzini sulla cover di “Vogue Italia & Novità” foto Gian Paolo Barbieri, novembre 1965 (pagina accanto).
NELSEGNODI­STEVEN. La modella canadese Kirsten Owen ritratta da Meisel per il numero di settembre di Vogue Italia, 1997. LA PRIMA VOLTA. Benedetta Barzini sulla cover di “Vogue Italia & Novità” foto Gian Paolo Barbieri, novembre 1965 (pagina accanto).

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