A Vogue’s Tale
Ogni mese, un racconto d’autore liberamente ispirato alla copertina di Vogue Italia.
AUTORE: Ivan Cotroneo*
TITOLO: Le Parole
A CURA DI: Federico Chiara
STORIA:
Lo inseguivano, come animali a quattro zampe, cani o lepri, a volte cavalli. Si mettevano alle sue spalle, e poi di slancio lo superavano travolgendo il suo pensiero. Era stato un bambino timido, un adolescente introverso, e poi un giovane uomo, e sempre aveva sofferto per la banalità di quello che pronunciava. I suoi “ti amo” come i suoi “non voglio vederti più” gli erano sembrati vaghi, simili a quelli degli altri, quando invece sentiva che i suoi sentimenti erano personali, e se non unici, almeno specifici. E quando provava ad argomentare, ad aggiungere più parole per meglio chiarire, gli sembrava che la verità si allontanasse invece che palesarsi più evidente. Eppure nella sua testa a ogni parola doveva corrispondere uno stato d’animo preciso. Soffriva nel vedere lo spreco, le parole d’amore rivolte a oggetti inanimati e in cima alla sua lista di dolori metteva espressioni come “Amo questa pasta”. Ancora di più stava male per le parole di odio, e non tanto per gli insulti mirati, precisamente scelti, che intenzionalmente ferivano, quanto per le osservazioni casualmente leggere, le espressioni apparentemente svagate che nascondevano invece abissi di odio, o cattedrali di incomprensione. Il suo era un tempo in cui questo avveniva più frequentemente di quanto fosse mai avvenuto prima. E il mondo intorno a lui, da quello delle comunicazioni quotidiane a quello delle dichiarazioni politiche, si agitava in un clima di paura e confusione in cui le sue amate parole venivano usate, e non in nome di uno scopo ma di un effetto. Sì, le amava le parole, e ne capiva profondamente il potere spaventoso che avevano di innalzare una persona al cielo o di distruggerla. A volte immaginava di vivere in un mondo senza parole a definire cose e sentimenti, un mondo in cui ciascuno sarebbe stato costretto a esprimere fisicamente il suo pensiero. Poteva sembrare la fine della civiltà. Eppure forse più chiaramente tutti avrebbero capito che un insulto è un pugno in faccia e una parola d’amore una lacrima. Pensava che il nuovo Messia sarebbe stato semplicemente questo: un uomo o una donna capace di parlare intendendo precisamente ciò che diceva. Gli sembrava questa l’unica possibile salvezza del mondo. Quando il telefono squillò, e comprese di dover rispondere, pregò una volta di più l’unica preghiera che gli sembrava degna. Che le sue parole corrispondessero ai suoi pensieri e ai suoi sentimenti, che non ferissero inutilmente, che splendessero, invece di essere sporche palle di neve con una pietra nascosta al centro. ____________________________________________________________________________