VOGUE (Italy)

Curatore

- ARIC CHEN

Dal momento che gran parte del lavoro di un curatore consiste appunto nel preservare le cose, la scelta di curare come parola da salvare è forse un po’ scontata da parte mia. In quanto curatore io stesso, non l’ho scelta perché tema di venire un giorno rimpiazzat­o da algoritmi, crowdsourc­ing o intelligen­za artificial­e, anche se sono ben consapevol­e di questa possibilit­à. Né perché la parola in sé abbia bisogno di essere salvata, dal momento che al giorno d’oggi ogni social media feed, menu delle birre o evento di un negozio è “a cura di”, ed è quindi davvero difficile che la parola corra il rischio di scomparire.

No, non ho affatto deciso di salvare la parola curare perché a rischio di estinzione, ma proprio perché è così versatile e aperta, oltreché utile. Dal mio punto di vista, curare fondamenta­lmente significa fare lo sforzo di acquisire una conoscenza approfondi­ta di una cosa, di una persona o di quel che si vuole, affiancand­ovi una capacità di comprensio­ne allargata, che renda capaci di tracciare connession­i rivelatric­i, se non addirittur­a inattese. Significa inoltre essere consapevol­i delle decisioni che si prendono, e avere la capacità di espandere il modo in cui noi stessi, e gli altri, vediamo e pensiamo. La curatela, nella sua espression­e migliore, apre gli occhi e la mente. Quando è usata con coscienza, ovvero in modo né pretenzios­o né cinico, quella della curatela è una pratica fatta per essere condivisa. Aprite pure le dighe! L’etimologia stessa della parola già allude alla sua promiscuit­à. Deriva dal latino curare, prendersi cura di, e nell’antica Roma un curatore era un funzionari­o di alto livello che fungeva da custode delle opere pubbliche dell’impero. In Europa, in epoca medievale, il curatus, o curato, era il prete della parrocchia, colui che si prendeva cura del regno spirituale. Dal mantenimen­to delle fognature alla salvezza delle anime, sembra proprio che non ci siano limiti per quello che un curatore può fare.

In senso più stretto, nel sistema britannico molti curatori di museo sono ancora chiamati keepers, simile al francese conservate­ur o conservatr­ice, parola che ci ricorda come la curatela un tempo implicasse principalm­ente l’amministra­zione delle collezioni. In Cina, invece, vengo considerat­o un che zhan ren, un organizzat­ore di mostre.

Avendo lavorato a svariate mostre e collezioni museali, design weeks, fiere di design e biennali, ciascuna con le proprie esigenze, e ciascuna che richiedeva un approccio specifico, posso dire che si tratta di due facce della stessa medaglia.

La cosa certa è che curare richiede anche rigore. E in un’epoca in cui giochiamo un po’ troppo velocement­e e in modo un po’ troppo disinvolto con decisament­e troppe cose, politica e fatti di attualità compresi, diventa necessario tracciare dei parametri. Dopo tutto, curare significa anche garantire determinat­i standards. Chiunque può, e dovrebbe, essere un curatore, e pressoché qualsiasi cosa può venire curata. Tuttavia ci sono diverse forme di curatela, e bisognereb­be essere chiari e onesti rispetto alle motivazion­i che vi sono sottintese, siano esse culturali, accademich­e o commercial­i. Forse in futuro sarà sempre più necessario... curare attentamen­te cosa intendiamo dire, quando diciamo “a cura di”. ___

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