Speranza
L’amore per le parole mi accompagna da sempre. Da bambina scrivevo racconti, e non appena imparai a leggere trascorsi ore in compagnia dei libri.
Quand’ero piccola la televisione non esisteva, non era ancora stata inventata. C’era la radio, c’erano i racconti delle persone, e c’erano i libri. Leggevo e scrivevo molta poesia, e fu questo a farmi capire davvero come le parole, usate in modi diversi, potevano dipingere sia mondi reali che immaginari.
Scoprii la bellezza, la magia del comunicare attraverso le parole. Comunichiamo anche con la musica e con l’arte, certo, ma con le parole possiamo formulare domande sul senso della vita e sul perché ci troviamo qui. Durante i miei anni nella foresta pluviale, ho studiato il comportamento dei nostri parenti più stretti, gli scimpanzé, scoprendo gradualmente quanto sono simili a noi, e in quanti modi. Condividiamo i gesti e le posture della comunicazione: baciare, abbracciare, rassicurarsi a vicenda con un tocco delicato della mano, darsi delle arie e così via.
Sono molte anche le differenze, naturalmente, ma quella che trovo più significativa è il nostro esplosivo sviluppo intellettuale. E ritengo che questo, almeno in parte, sia stato innescato dal fatto che, a un certo punto della nostra evoluzione, abbiamo sviluppato un linguaggio che ci permetteva di comunicare in un modo nuovo: usando le parole. Ciò significava poter parlare di cose e persone non presenti, condividere idee, discutere e cercare di risolvere i problemi. Senza le parole tutto ciò sarebbe impossibile.
Come i nostri antenati preverbali, saremmo in grado di comunicare soltanto con i nostri gesti e le nostre posture istintive.
Se dovessi scegliere una parola, sceglierei speranza. Perché il mio lavoro, oggi che il mondo attraversa un’epoca buia – in senso politico, sociale e ambientale –, è dare speranza alle persone. Perché senza la speranza di poter rimediare almeno in parte ai danni che abbiamo inflitto alla natura, migliorare il modo in cui trattiamo gli altri e gli animali, sprofondiamo nell’apatia.
Se non esiste speranza, perché sforzarsi di cambiare le cose? Dovremmo semplicemente “mangiare, bere e stare allegri”, godere della vita il più possibile prima che finisca. Ecco, nel caso ci fosse un’apocalisse verbale, in un’immaginaria condizione di assenza di parole, per me ne rimarrebbe una sola: speranza.
E la mia personale speranza, proprio come accadde nel nostro passato lontanissimo, preistorico, è che potremmo nuovamente sviluppare un linguaggio basato sulle parole. Creare immagini di parole, condividere i nostri pensieri più intimi. Speranza: la luce che brilla in un mondo buio. ______________