Il Nudo Vende. Persino I Vestiti.
Che cosa sono gli abiti? Sostantivi fondamentali dell’alfabeto fashion o semplici aggettivi di cui si può (anche) fare a meno?
La moda, si può dire forte, non è qualcosa che si mette addosso. Nonostante sulle passerelle o nelle boutique abbia di solito forma indossabile, tutta quella “roba” lì, con ogni probabilità è assolutamente secondaria, se non addirittura in contraddizione con quanto della moda c’è di più interessante. La moda è un concetto di assoluta vastità: incarna lo spirito del tempo ed è strumento di espressione personale. Le asserzioni che può fare, i riferimenti culturali che assorbe sono davvero illimitati. È un tale canalizzatore di stimoli differenti che definirla solo come abbigliamento è troppo restrittivo e troppo materiale, perché la moda in realtà è un linguaggio. Lo sanno bene i fashion editor, così come i direttori creativi, che hanno il compito di parlarci in quella lingua per accompagnarci nella loro fantasylandia.
Una fuga dal paradigma del materiale è la nudità. Sottrarre completamente i vestiti dall’equazione. E lo strumento principale per questa fuga è la fotografia di moda, che più volte nel passato ha cercato di liberarsi dalle pastoie dell’abito, ancor prima che il ritratto della nudità fosse comunemente accettato. Si pensi alle silhouettes fortemente contrastate di Horst P. Horst, o alle immagini di Guy Bourdin, che spesso mostrano più pelle che tessuto. Il nudo nella moda può di primo acchito sembrare assurdo, ma anche molto comune. Le immagini possono essere sessualmente o politicamente provocatorie, oppure soavi e innocenti, ma in ogni caso sanno intrigare e far aumentare l’interesse per un marchio. Il tutto senza mostrare un solo scampolo di quanto andrà sugli scaffali dei negozi. Per esempio, dopo l’uscita di Hedi Slimane da Saint Laurent nel 2016, Anthony Vaccarello ha inaugurato la sua direzione creativa con una campagna di modelli nudi, parzialmente fuori campo, scattata da Collier Schorr – un riferimento all’estetica understated di Saint
Laurent e forse alla sua storia di immagini di nudi pubblicitari. Negli anni Novanta anche molte delle famose pubblicità di Oliviero Toscani per Benetton avevano modelli svestiti, che andavano ad aggiungersi alle vittime dell’Aids, ai cuori umani “white, black, yellow”... Forse l’esempio più estremo è un editoriale del 1998 per Dutch Magazine del fotografo e regista svedese Mikael Jansson. Nelle 82 pagine di scatti catturati in quattro giorni nella residenza di Jansson alle porte di Stoccolma, tutti i modelli e le modelle erano nudi. Tuttavia, alle immagini vennero assegnati dei crediti moda – marchi come Hermès, Miu Miu, Missoni, Helmut Lang, Ralph Lauren e Issey Miyake si trovavano di solito in fondo a ogni pagina. Non vi era motivo per cui un marchio fosse attribuito a questa o a quella immagine, ma non c’era dubbio che lo stile veicolato nelle loro campagne si estendesse anche ai corpi. Lo stesso Yves Saint Laurent nel 1971 posò nudo per la pubblicità del profumo Pour Homme; era un riflesso della sua aura, artistica e intellettuale. Diversa da quella di Tom Ford che preferisce una procacità al limite del pornografico. Tuttavia l’eroticissima Sophie Dahl di Opium per YSL nel 2000 è sicuramente più esplicita della Black Orchid-Cara Delevingne di Tom Ford nel 2014. Tutto rientra nella capacità della moda di giocare con i concetti di riverenza e irriverenza.
La storia di Jansson era un’ode al fashion e allo stesso tempo ci diceva che non ne abbiamo bisogno, o comunque che si tratta di qualcosa di ben più complesso di qualche effimero capo di stagione. I nudi nella pubblicità di un marchio alzano il sipario sul sistema, ricordandoci che quello che ci aspettiamo è che ci trasformi fisicamente, e allo stesso tempo bilanci l’ego e un’autostima fragile.
In altri casi, si vira un po’ più sul punk. Nella primavera del 1996, il Süddeutsche Zeitung pubblicò dei nudi della modella Kristen McMenamy scattati da Juergen Teller. In uno, McMenamy ha le mani sui fianchi. Sul petto, dentro uno sbilenco cuore rosso, è scarabocchiato in nero “Versace”. Decisamente, non si trattava di un’immagine pubblicitaria. Come ha poi raccontato McMenamy, sia lei che Teller erano stati cancellati dalla campagna di Versace, e quella era la loro rappresaglia – un’appropriazione dell’unica cosa di cui una casa di moda è veramente padrona: il marchio. Questo mette in discussione ciò che rende “fotografia di moda” una fotografia – e se non c’è bisogno degli abiti per esprimere che cos’è la moda, allora cos’è davvero la moda?
Buttare un occhio a meme-artists di Instagram, come @freddiemade e @hey_reilly, può chiarire le idee. Loro hanno trovato un modo per rimescolare le carte prendendo scatti pubblicitari e di celebrità, intrecciandoli con i nomi dei brand, o trasformandoli completamente con photoshop. Tutto questo per scuotere un settore non molto autoironico. (Un post di @freddiemade con la scritta “Moncher” mostra il volto di Cher photoshoppato su una pubblicità di Moncler). Questi lavori ci indicano quanto i concetti di moda e di marchio siano flessibili. Con la stessa facilità con cui possiamo dar loro gravità, possiamo renderli assolutamente ridicoli e superficiali. La moda è sempre stata associativa. Non è la cosa, ma un’idea. E il nudo ce lo dimostra, chiedendoci di pensare oltre la foto, trasportandoci in una fantasmagorica terra di mezzo.____________