Le Cartine Di Tornasole
Moda e Parole/3: le password. Sedici nomi chiave dell’industria scelgono un termine che fotografa il presente e ipotizza un domani.
Da qualche anno la conversazione nella moda si è sviluppata principalmente attorno a tre parole di grande rilevanza: inclusività, diversità e naturalmente sostenibilità. Si è rimessa in discussione anche l’idea di potere, soprattutto alla luce della campagna #metoo, ma in questo caso la strada da fare resta lunga. Vogue Italia ha chiesto ad alcuni nomi chiave dell’industria fashion quali parole, a loro giudizio, meglio definiscono il momento. In caso di apocalisse linguistica, che parola salverebbero? Un trend? Una filosofia? Un’emozione? Del resto, come si dice: i colori sbiadiscono, i templi si sgretolano, gli imperi crollano, ma la saggezza delle parole resiste al tempo.
«Un’apocalisse verbale… Ottimo spunto, anche se più difficile di quel che sembra», riflette la stylist Tonne Goodman. «Viene subito in mente l’amore, certo, ma è la creatività che ci mantiene civilizzati. Per cui scelgo arte. E aggiungo: perché l’arte ha il potere di liberarci dal male». Altrettanto appassionata è la scelta di Eugenia de la Torriente, direttore di Vogue Spagna, che sceglie appunto «passione, perché è quella ad accendere il fuoco che contraddistingue il vero “fashion moment”». Tim Blanks pensa si debba salvare «magnifico, perché è una parola che punta alle vette più inebrianti della moda – quelle dei Balenciaga, Valentino, Galliano, McQueen – e mi dispiacerebbe se la nostra capacità di descrivere simili vertici creativi venisse meno per la sua improvvisa assenza». Lo stilista Erdem Moralioglu sceglie contraddizione, perché crede che la moda si evolva per contrasti: «Alcune delle creazioni più belle e potenti nascono dagli accostamenti più sorprendenti e meno logici».
Tra gli addetti ai lavori si sentono anche risposte più misteriose: sì è la parola che sceglie, senza esitazioni, Alexa Chung. Una termine non strettamente legato al fashion system, ma il ragionamento di Chung è acuto: «In caso di apocalisse linguistica, vorrei riuscire lo stesso a far succedere le cose», spiega. La pensa in modo simile anche il fotografo Alasdair McLellan, che sceglie la parola domani per la sua carica di ambiguità, simile in qualche modo alla miscela di realtà, esperienza e verità che impregna le sue immagini. Insomma, dal giro di opinioni qui raccolte si percepisce ottimismo sul futuro del sistema-moda. Sulla scia dell’attivismo e delle emozioni viste in passerella, ciò che colpisce delle risposte è che hanno tutte a che vedere con l’empatia. La stylist Lolita Jacobs scommette su madre, e sulla necessità di far crescere l’industria aiutandosi l’un l’altro a crescere al suo interno. E anche un cane sciolto come il protagonista del caso WikiLeaks Christopher Wylie colloca l’empatia in vetta
alla lista delle parole da salvare, accanto a quella da lui preferita, intersezionale: «Molti problemi del mondo, dalla politica al settore della moda, derivano da una mancanza di empatia per la diversità delle esperienze di vita, e per il carattere intrinsecamente complesso delle nostre identità». Le parole che usiamo, così come i vestiti che indossiamo, non dovrebbero mai essere usa e getta: devono avere peso. L’ultima parola spetta a Rick Owens, che sceglie RESPONSABILITÀ. Scritto maiuscolo. E qui non servono spiegazioni. _________________________________