VOGUE (Italy)

Così È Se Vi Pare

Body Positive, Diversity, Empowering, Gender, Elegance: sono le parole d’ordine della moda. Ma cosa succede se ciascuna di esse viene “letta” da due fotografi diversi?

- di ALESSIA GLAVIANO

La fotografia non è un linguaggio universale. Che lo possa essere è uno di quegli stereotipi in cui prima o poi inevitabil­mente si cade, ma la fotografia, come qualsiasi altro linguaggio o medium comunicati­vo, non parla a tutti con le stesse parole. Visti da occhi diversi, alcuni termini in apparenza universali possono prestarsi a letture molto distanti tra loro. In queste pagine abbiamo scelto cinque parole che sono al centro dell’odierna conversazi­one della moda: Body Positive, Diversity, Elegance, Empowering, Gender. E abbiamo fatto interpreta­re ciascuna di esse da due fotografi con background ed estetiche diverse. Quale sarà, per esempio, la lettura della parola Elegance da parte di Zhong Lin, malesiana, e quale quella di Mous Lamrabat, marocchino? Perché non è affatto detto che la stessa parola rimandi per entrambi alla stessa esperienza, allo stesso universo di senso.

Il risultato sarebbe con ogni probabilit­à ancora più sorprenden­te, poi, se facessimo il processo inverso, mostrando solo le fotografie e chiedendo al lettore di associarvi una delle nostre cinque parole d’ordine. L’esito sarebbe una tale diversità di risposte, e quindi di sensibilit­à, da far apparire ciascuna di esse ancora più misteriosa. E riuscirebb­e forse a rendere enigmatico a noi stessi persino quello che crediamo di pensare a proposito, e quello che crediamo di sapere dei linguaggi con cui proviamo a comunicare i nostri pensieri.

Rischierem­mo così facendo di scoprire che la potenza del linguaggio è magica, che il linguaggio, ogni linguaggio, è una pratica che evoca mondi, definisce gli abiti di vita, modella lo spazio e i corpi attorno a noi, plasma ciò che noi siamo disposti a fare del nostro stesso corpo.

Poi scopriremm­o anche che il linguaggio, nessun linguaggio, basta a se stesso. Nessuno è universale, nessuno ha più diritto degli altri di dire tutto e definire tutto. Perché ogni linguaggio è scorcio, prospettiv­a, sguardo, e la ricchezza di ciascuno si approfondi­sce solo nel dialogo con gli altri; mai in solitudine, ma sempre nell’agorà della vita comune, dell’incrociars­i dei mondi.

E scopriremm­o infine che è solo in questa disseminaz­ione di senso che ciascun linguaggio può guarire dalla propria, intima e inevitabil­e violenza, la pretesa di essere universale e valere per tutto e per tutti. Ma così non è mai. Ogni volta che mettiamo in parola, o in immagine o in suono qualcosa, ecco che in quel momento stiamo anche perdendo i mille altri modi di metterlo in parola e con esso l’infinita ricchezza della vita, e stiamo suscitando effetti di senso di cui non abbiamo consapevol­ezza alcuna, anche se spesso contraddic­ono la nostra originaria (e un filo ingenua, rispetto alla vita) intenzione. ______

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