Così È Se Vi Pare
Body Positive, Diversity, Empowering, Gender, Elegance: sono le parole d’ordine della moda. Ma cosa succede se ciascuna di esse viene “letta” da due fotografi diversi?
La fotografia non è un linguaggio universale. Che lo possa essere è uno di quegli stereotipi in cui prima o poi inevitabilmente si cade, ma la fotografia, come qualsiasi altro linguaggio o medium comunicativo, non parla a tutti con le stesse parole. Visti da occhi diversi, alcuni termini in apparenza universali possono prestarsi a letture molto distanti tra loro. In queste pagine abbiamo scelto cinque parole che sono al centro dell’odierna conversazione della moda: Body Positive, Diversity, Elegance, Empowering, Gender. E abbiamo fatto interpretare ciascuna di esse da due fotografi con background ed estetiche diverse. Quale sarà, per esempio, la lettura della parola Elegance da parte di Zhong Lin, malesiana, e quale quella di Mous Lamrabat, marocchino? Perché non è affatto detto che la stessa parola rimandi per entrambi alla stessa esperienza, allo stesso universo di senso.
Il risultato sarebbe con ogni probabilità ancora più sorprendente, poi, se facessimo il processo inverso, mostrando solo le fotografie e chiedendo al lettore di associarvi una delle nostre cinque parole d’ordine. L’esito sarebbe una tale diversità di risposte, e quindi di sensibilità, da far apparire ciascuna di esse ancora più misteriosa. E riuscirebbe forse a rendere enigmatico a noi stessi persino quello che crediamo di pensare a proposito, e quello che crediamo di sapere dei linguaggi con cui proviamo a comunicare i nostri pensieri.
Rischieremmo così facendo di scoprire che la potenza del linguaggio è magica, che il linguaggio, ogni linguaggio, è una pratica che evoca mondi, definisce gli abiti di vita, modella lo spazio e i corpi attorno a noi, plasma ciò che noi siamo disposti a fare del nostro stesso corpo.
Poi scopriremmo anche che il linguaggio, nessun linguaggio, basta a se stesso. Nessuno è universale, nessuno ha più diritto degli altri di dire tutto e definire tutto. Perché ogni linguaggio è scorcio, prospettiva, sguardo, e la ricchezza di ciascuno si approfondisce solo nel dialogo con gli altri; mai in solitudine, ma sempre nell’agorà della vita comune, dell’incrociarsi dei mondi.
E scopriremmo infine che è solo in questa disseminazione di senso che ciascun linguaggio può guarire dalla propria, intima e inevitabile violenza, la pretesa di essere universale e valere per tutto e per tutti. Ma così non è mai. Ogni volta che mettiamo in parola, o in immagine o in suono qualcosa, ecco che in quel momento stiamo anche perdendo i mille altri modi di metterlo in parola e con esso l’infinita ricchezza della vita, e stiamo suscitando effetti di senso di cui non abbiamo consapevolezza alcuna, anche se spesso contraddicono la nostra originaria (e un filo ingenua, rispetto alla vita) intenzione. ______