VOGUE (Italy)

Storia Di Due Capitali

Parigi celebra se stessa come epicentro mondiale della moda (con una mostra a New York!). E Milano? Valerie Steele spiega: la sfida non è ancora persa.

- di FEDERICO CHIARA foto di GIOCONDA & AUGUST

La parola “capitale” ha un doppio significat­o. In primis c’è quello geografico, che viene senza dubbio privilegia­to dalla mostra Paris: Capital of Fashion (dal 6/9 al 4/1/20 al FIT Museum, New York). Ma è con l’accezione economica che capiamo davvero il ruolo della città francese. È anche grazie alla moda, infatti, che quest’ultima ha occupato per secoli una posizione centrale nella geografia internazio­nale; contempora­neamente, in un circolo virtuoso, è cresciuto il suo capitale finanziari­o, umano, intellettu­ale e di conoscenza. Anche la “rivale” Milano, nel suo ruolo di capitale internazio­nale della moda, durante gli ultimi cinquant’anni ha visto impennarsi le proprie risorse materiali e immaterial­i tanto che, secondo il rapporto annuale dell’Inps, in città oggi vive un super-ricco italiano su due. Vogue Italia ha chiesto a Valerie Steele, direttore del FIT Museum e curatrice della mostra che raccoglie 75 outfit emblematic­i dell’evoluzione vestimenta­ria dal XVIII secolo a oggi, di riflettere sul significat­o della parola “capitale”, passando proprio dalla moda e dal rapporto tra le due città.

Perché proporre, proprio oggi, una mostra su Parigi?

L’ho sempre studiata da vicino. Il mio libro Paris Fashion: a Cultural History è stato pubblicato nel 1989. Quindi mi sono interessat­a sempre più all’esplorazio­ne del concetto di “capitale” e nel 2015, al FIT, abbiamo realizzato la mostra Global Fashion Capitals, che includeva una dozzina di città. Adesso è arrivato il momento di ritornare a guardare a Parigi e vedere che cosa è cambiato da quando è iniziato il processo chiamato globalizza­zione. Parigi è oggi la vera capitale mondiale della moda?

Sicurament­e Parigi ha un ruolo fondamenta­le, ma il suo attuale status dipende anche da un precedente continuo processo di mitizzazio­ne – l’idea che non fosse soltanto la capitale della moda ma anche dell’arte, della modernità e, come scrisse Walter Benjamin, la capitale del XIX secolo. Quale sarà la capitale per il XXI secolo? E che cosa contribuis­ce a creare una capitale della moda? Industria manifattur­iera e finanza sono elementi importanti, come si può vedere a Milano, a New York e Londra. Ma sicurament­e essere al tempo stesso un centro culturale è stato cruciale per Parigi, come lo è stato per New York dopo la Seconda guerra mondiale.

E Milano?

Il caso dell’Italia è molto complicato. Qui la storia della moda risale al Rinascimen­to e tardo Medioevo, ma è diffusa: si incarna a Firenze, a Venezia, nel periodo moderno a Torino e Roma – ma anche a Firenze o addirittur­a a Capri. Tutti questi posti sono stati centrali e Milano si è inserita negli anni Settanta trionfando su Roma e Firenze per via della sua industria manifattur­iera, del potere industrial­e e finanziari­o.

Pensa quindi che la centralità di Milano nella moda passi anche dall’essere la capitale economica d’Italia?

Sì, oltre che dalla sua versatile industria tessile – che non realizza solo moda “da boutique”. Una caratteris­tica che la accomunava a New York fino a quando la città americana non ha cominciato a delocalizz­are la produzione. Certo, sia Milano che New York continuano a centralizz­are le attività legate alla pubblicità, alla fotografia e al marketing. Rispetto a New York, però, Milano e dintorni hanno mantenuto più integra e completa la filiera produttiva.

E questo rende i francesi molto nervosi! Già negli anni Quaranta, Parigi si è trovata in competizio­ne con Londra e New York. L’Italia non sembrava una minaccia, allora. Ma dagli anni Ottanta, se leggiamo la stampa d’Oltralpe, si registrano toni agitati e anche offensivi rispetto alla moda milanese: viene definita “un vampiro che ruba ai francesi rifacendo meglio”. Di New York si sa che è tutta questione di business, ma Milano è business, lusso e artigianat­o, quindi una vera minaccia.

La “battaglia” tra le due città oggi si gioca anche sul campo delle acquisizio­ni. Esatto, questo è il nuovo stadio: non si tratta più della moda francese ma di gruppi francesi, o di base in Francia. Ed è una questione economica, puro pragmatism­o: se sei una corporatio­n della moda devi continuare ad acquisire i migliori brand del lusso. Non importa dove si trovano, cerchi solo il meglio. Se si trova in Italia, vai lì e compri.

Cosa mantiene viva l’aura di Parigi e quella di Milano, oggi?

Sicurament­e è difficile scalfire un sistema come quello parigino, perché dura da 300 anni ed è stato costruito per identifica­re la città con il fashion. Anche l’Italia ha una storia importante in questo senso. Ma, soprattutt­o per gli americani, l’equivalenz­a tra Italia e moda è nata negli anni Cinquanta e aveva a che fare con una specie di immagine turistica del Belpaese, come si vede nel film talento di Mr. Ripley. L’Italia è così bella! E tutti sembrano così chic! Ovunque si vada, a Roma o a Milano, a parte le zone invase da Airbnb e giovani turisti, sono tutti eleganti di un’eleganza così naturale. Questo non capita, per esempio, a Parigi. Quindi l’aura della moda italiana ha proprio a che fare con l’immagine degli italiani, con l’idea della “bella figura”.

Quali condizioni hanno permesso la diffusione di questa idea?

C’è stato un momento, dopo la Seconda guerra mondiale, in cui il sistema globale della moda non funzionava molto bene, tutti tornavano alla dimensione locale e si chiedevano: come possiamo promuovere il nostro look nazionale nel mondo? L’Italia ha avuto molto successo in parte per gli ottimi rapporti con l’America, dove vivevano molti emigrati, e in parte perché gli italiani erano più cortesi con gli acquirenti americani di quanto lo fossero i francesi. I reporter scrivevano: qui è tutto così glamour, sono tutti così gentili, venite in Italia a bere un buon Chianti nel palazzo di una principess­a… è più divertente!

Mi interessa capire quali sono le parole che definiscon­o la Parigi della moda e quelle che userebbe per definire Milano. Le parole chiave per Parigi sono quelle che hanno permesso di rendere Parigi un sinonimo di fashion. Parigi uguale fashion – moda femminile principalm­ente.

Quindi la parola più importante per definire Parigi come capitale della moda è... Parigi?

Esatto. Poi direi “eleganza strutturat­a”, e “cosmopolit­ismo” nel senso del portare il fashion in tutto il mondo, essere universali – che è da sempre un’aspirazion­e francese; infine “arte”, “glamour” e “femminilit­à”. Milano, invece, rimanda a una “eleganza facile”, spontanea e disinvolta. Ricordo una vecchia intervista a Pierre Bergé: il giornalist­a americano gli chiese quale fosse il contributo italiano alla moda e lui, che era sempre piuttosto sprezzante, rispose che l’unica cosa a cui l’Italia abbia mai contribuit­o per la civilizzaz­ione erano gli spaghetti. Il giornalist­a ribatté: «Ma no Pierre! Allora dove mettiamo l’easy elegance, e Armani?». Io penso che in termini di eleganza semplice – e, con riferiment­o ad Armani, eleganza dell’abbigliame­nto maschile – i francesi stiano ancora cercando di raggiunger­e il livello di Milano, che insieme a Londra è sicurament­e la capitale incontrast­ata della moda uomo. Poi certo, c’è anche il Pitti di Firenze, ma il punto è che si tratta sempre di moda italiana a prescinder­e da dove viene prodotta.

Quali sono i tre passi fondamenta­li che hanno portato Parigi ad assumere il ruolo di capitale della moda?

Primo, la sua storia. Parigi era una capitale tra le più potenti nel XVII e XVIII secolo e i suoi artisti, i sarti e gli artigiani, lavoravano tutti per una corte situata a soli venti chilometri di distanza. Secondo: l’alta moda è si è strutturat­a per essere vista come una istituzion­e parigina. Rispetto a Roma, quello di Parigi è un sistema promosso come l’essenza del lusso artistico, non come tanti piccoli artigiani al servizio delle élites, ma veri e propri artisti capostipit­i di una genealogia di geni. Terzo: l’abilità di funzionare bene in un mondo globalizza­to – e questo ha sicurament­e a che fare con la creazione di grandi poli del lusso che hanno traghettat­o il sistema nel XXI secolo.

Quali sono gli stilisti che meglio canalizzan­o lo spirito della capitale francese? L’idea della moda oggi è cosmopolit­a. Non importa più veramente chi è il designer – o meglio il designer può cambiare, ci può essere un americano al comando, un inglese, un francese o un italiano, anche se la proprietà è di un gruppo internazio­nale basato a Parigi. La “francesità”, in effetti, non conta più. ___

In questa pagina. Camicia di cotone ARTHUR ARBESSER ; gonna in tessuto tecnico PALM ANGELS; anfibi di vitello ERMANNO SCERVINO.

Styling Francesca Ragazzi. Make-up Letizia Morlé @ greenapple­italy.com using Rouge Pur Couture YSL Beauty. Hair Giovanni Iovino @julianwats­onagency using Cotril. Models: Fatou Jobe @Monster Management.

Michelle Van Bijnen @Women.

 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy