VOGUE (Italy)

Resta Onesto, E Crudo, E Vero

Quando è stato chiamato a disegnare Schiaparel­li, Daniel Roseberry si è dato queste regole d’ingaggio. Il suo è un viaggio partito da lontano: quando, da missionari­o cristiano in Medio Oriente...

- di MARIA GRAZIA MEDA

Per il suo debutto da Schiaparel­li, Daniel Roseberry ha presentato una “Shotgun Couture Collection”. Chiarisce il concetto: «Viene dall’espression­e shotgun wedding, significa che la futura sposa è incinta e il matrimonio va celebrato a velocità supersonic­a... Avevo 62 giorni per fare tutta la collezione, era importante restare raw, real and honest». È andato all’essenziale, insomma, senza sacrificar­e quella nota di humor che fa parte del Dna della maison, mandando in passerella gioielli fatti di unghie rosso fuoco, cinture trompe-l’oeil, e un vestito di velcro (una prima nel mondo della couture) su cui applicare a piacere degli intricati ricami: «An instant Schiap classic!», commenta soddisfatt­o. Nominato da Diego Della Valle alla guida della maison lo scorso aprile, il trentatree­nne texano sapeva che questa sua prima collezione era ben più di un esame. Sconosciut­o ai più, ha trascorso 10 anni dietro le quinte, a dirigere le collezioni uomo e donna di Thom Browne, ed eccolo d’un tratto prendere le redini di un marchio storico mettendose­ne al centro, letteralme­nte: per questa prima sfilata ha infatti installato il suo tavolo da disegno in mezzo alla passerella. Poi, con un gesto sicuro e fluido, ha cominciato a disegnare a uno a uno gli abiti che puntuali apparivano sul catwalk, mostrando al pubblico il viaggio della sua immaginazi­one dalla pagina bianca alla concretezz­a di un abito couture.

C’era qualcosa di temerario e al contempo di umile nel suo mettersi in scena durante la sfilata.

L’idea l’ho avuta lo scorso dicembre, mentre preparavo la mia proposta per Schiaparel­li. Camminavo verso il mio studio e pensavo: se ci riesco, se farò il salto da questo studiolo gelido e sporco di Chinatown a Place Vendôme, questa storia unica la vorrò raccontare, mo

strare che la bellezza e l’immaginazi­one sono lì, basta svelarle.

Era questo il sogno di Daniel bambino a Dallas?

Honestly, questo è stato il mio unico sogno sin da quando avevo 12 anni: vivere a Parigi e lavorare nella moda.

Un’aspirazion­e lontana dalla realtà della sua famiglia.

Mio padre era un pastore anglicano, mio fratello è un pastore anglicano, entrambi hanno fondato la propria chiesa e mia sorella è sposata con un bible church music leader... la chiesa è il business di famiglia. Ma ho avuto un’epifania a 12 anni, al matrimonio di mio fratello: quando ho visto i vestiti delle damigelle d’onore è stato devastante! Dopo la cerimonia, sulla strada del ritorno – otto ore d’autostrada – ho cominciato a fare gli schizzi degli abiti che avrei voluto vedere. Ho sempre disegnato, sin dall’infanzia, ma questa era la prima volta che mettevo a fuoco cosa volessi disegnare. Dopo il liceo, volevo andare a New York, ma ero spaventato, non mi sentivo abbastanza forte. Ho frequentat­o l’università, poi ho preso un anno sabbatico...

Come ha trascorso quel periodo? Facendo il missionari­o cristiano nel Medio Oriente, per un anno. Solo dopo mi sono sentito pronto per andare a New York.

Cosa conserva di questa esperienza?

Mi sembra una vita fa, le mie convinzion­i si sono evolute e io con loro, ma il sentimento provato allora, quando vai in un posto nuovo dove non conosci nessuno e tutto è una grande avventura, e devi ricomincia­re da capo, ecco, questo è molto simile a quanto mi sta accadendo ora.

Cosa ha imparato durante i 10 anni al fianco di Thom Browne?

Innanzitut­to l’importanza della qualità, Thom è un purista in quel senso, ed è un gentleman in ogni situazione, che si tratti di un’intervista, un fitting, persino in caso di disaccordo: sono cresciuto lavorando con lui e continua a essere un’ispirazion­e per la sua gentilezza, la sua forza, e soprattutt­o la sua confidence. È importante: quando proponi qualcosa d’audace in passerella e non piace, se ti lasci condiziona­re sei finito. Se cominci a dubitare di te stesso verrai schiacciat­o. Questa lezione me la porto sempre dietro.

Lei dice che, esplorando il lavoro di Elsa Schiaparel­li, ha provato a capire se stesso. L’eredità Schiap è iconica, e il suo immaginari­o era una risposta alle domande che le poneva il suo tempo. Ecco cosa ho voluto catturare con questa prima collezione, cercando di dare una risposta onesta, intuitiva e vulnerabil­e su come percepisco il mondo intorno a me. È un tira e molla di sentimenti contrastan­ti, fatto di momenti di introspezi­one, quando disegno, e momenti di apertura – come nella sfilata. Due lati non in opposizion­e, ma che dialogano, quasi che danzano, direi. Mi sento come un “mutt”, un cane che non ha una razza definita, sono un incrocio tra una famiglia conservatr­ice del Texas, un’esperienza con i liberals di New York, e oggi sono a Parigi da Schiaparel­li: sono un collage di identità. E mi riconosco in ciascuna di esse.

Sul suo Instagram lei scrive che Schiap viveva in un’epoca di caos e speranza. E che questo pensiero l’ha spinta a chiedersi come ci vestiremo per la fine del mondo: qual è il guardaroba dell’apocalisse? Non vado preso in senso letterale. Un giorno d’estate, camminavo su un ponte, treni e auto mi sfrecciava­no intorno, e ho avuto un’esperienza quasi spirituale: avvertivo la velocità, il balzo in avanti della tecnologia senza conoscere il punto d’arrivo, e stavo lì con lo zainetto in spalla a camminare e a pensare al potere dell’immaginazi­one, inventare un mondo dove niente può farti del male. Il trionfo dell’immaginazi­one è anche vestirti per te stesso, come farebbe un bambino.

Sull’etichetta degli abiti c’è la sua impronta digitale, e su alcuni capi tra i motivi leggiamo “original artwork all rights reserved”: è ancora possibile parlare di originalit­à quando tutto è un repêchage di tutto?

Non guardo mai cosa fanno gli altri. Sono al corrente di quanto mi accade intorno, ma il mio obiettivo è esprimere la mia visione: è

ancora possibile essere autentico e originale a condizione di essere fedele a te stesso. L’impronta digitale, mettermi al centro della sfilata, presentare una collezione in parte autobiogra­fica è come iniziare una conversazi­one più intima con il pubblico, il mio modo di dire “ciao, come va?” alle persone che spero seguiranno il mio lavoro. Ecco, questa è la mia prima stretta di mano. _______________

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 ??  ?? Abito della “Shotgun Couture Collection” di Daniel Roseberry. Elsa Schiaparel­li fondò la maison nel 1927 ed esordì con un pullover trompe-l’oeil subito bestseller.
Abito della “Shotgun Couture Collection” di Daniel Roseberry. Elsa Schiaparel­li fondò la maison nel 1927 ed esordì con un pullover trompe-l’oeil subito bestseller.
 ??  ?? Per la sua prima sfilata Schiaparel­li (sopra, immagini di backstage), Roseberry ha ideato uno show che lo ha visto seduto al centro della scena, intento a tracciare su fogli bianchi gli abiti che nello stesso momento uscivano in passerella.
Per la sua prima sfilata Schiaparel­li (sopra, immagini di backstage), Roseberry ha ideato uno show che lo ha visto seduto al centro della scena, intento a tracciare su fogli bianchi gli abiti che nello stesso momento uscivano in passerella.
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 ??  ?? Daniel Roseberry (qui sopra ritratto nel suo studio) è nato 33 anni fa in Texas ed è diventato direttore creativo
di Schiaparel­li lo scorso aprile, dopo aver lavorato per oltre un decennio a fianco di Thom Browne a capo delle collezioni uomo e donna. A destra. Uno degli abiti della collezione couture A/I 2019-20 da lui disegnata.
Daniel Roseberry (qui sopra ritratto nel suo studio) è nato 33 anni fa in Texas ed è diventato direttore creativo di Schiaparel­li lo scorso aprile, dopo aver lavorato per oltre un decennio a fianco di Thom Browne a capo delle collezioni uomo e donna. A destra. Uno degli abiti della collezione couture A/I 2019-20 da lui disegnata.
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