Il Potere Del Taumaturgo
Parate di scheletri, donne papesse... Alejandro Jodorowsky nel suo nuovo film racconta la “psicomagia”: ovvero, come i sogni possono curare la realtà.
Regista dell’onirico, autore di film di culto come El Topo (1970) e La montagna sacra (1973); ma anche drammaturgo, poeta, fumettista, saggista e studioso di Tarocchi. E poi ancora pittore, scultore, attore, compositore, romanziere e tanto altro. Ma per le migliaia di seguaci che in tutto il mondo lo venerano come un guru, Alejandro Jodorowsky è innanzitutto l’inventore della “psicomagia”, una pratica di guarigione nata cinquant’anni fa dal suo incontro con una curatrice messicana, e che si colloca a metà strada tra teatro dell’assurdo, sciamanesimo e psicologia. Non una terapia – come il novantenne cineasta e taumaturgo cileno naturalizzato francese ha precisato in numerose occasioni –, bensì una forma d’arte dai poteri terapeutici. A essa è dedicata la sua ultima fatica cinematografica: Psicomagia - Un’arte che guarisce, in uscita nelle sale italiane l’8 ottobre. Un film-documentario dalla genesi travagliata (per completarne le riprese Jodorowsky è dovuto ricorrere a una campagna di crowdfunding su Kickstarter, dopo aver lanciato un accorato appello su YouTube), che va a inserirsi nella trilogia autobiografica iniziata con La danza della realtà (2013) e Poesia senza fine (2016), e il cui ultimo capitolo è annunciato tra un anno.
«La psicoanalisi – una disciplina inventata dal medico neurologo Sigmund Freud, che affonda le sue radici nella scienza – cerca di decifrare e interpretare i messaggi dell’inconscio con il linguaggio razionale e strutturato delle parole. Ma dare un nome e una spiegazione ai traumi non basta a risolverli», avverte il regista-guaritore. «La psicomagia – che invece è una particolare forma di teatro dai poteri taumaturgici – agisce esattamente all’opposto: utilizzando il linguaggio simbolico e irrazionale che gli è proprio, invia messaggi all’inconscio, lasciandogli il compito di decifrare l’informazione trasmessa dal lato cosciente». Una comunicazione con i recessi della psiche che non procede a parole, come
sul lettino dello psicoanalista, bensì a gesti, per mezzo dei cosiddetti “atti psicomagici”: azioni paradossali dalla forte valenza simbolica e archetipica, simili a quelle che compiamo nei sogni, che hanno il potere di scuotere l’immobilità patologica dell’inconscio, intimandogli, in una lingua che è finalmente in grado di comprendere, di superare i suoi blocchi e di rompere con gli schemi compulsivi del passato. Per liberarsi per esempio da un’antica rabbia repressa nei confronti di una persona, la psicomagia prescrive di scriverne il nome su un foglietto di carta, nasconderlo insieme a un sacchetto contenente liquido rosso in un cuscino, e – in una scena da film horror – colpirlo per ore fino allo sfinimento con un bastone. Attaccare a un palloncino gonfiato la foto di un padre, e osservarlo volare via col naso all’insù, può invece aiutare un figlio succube a emanciparsi dalle tossiche aspettative paterne. «Salvador Dalí disse di voler portare i sogni dentro la realtà. Io, percorrendo la sua stessa strada ma in senso inverso, mi adopero per portare la realtà, opportunamente tradotta in un linguaggio onirico, nella sfera del sogno. Il mio è da intendersi dunque come un approccio “antisurrealista”, non surrealista», spiega.
Tra le caratteristiche più interessanti della psicomagia vi è la sua dimensione sociale. «Così come gli atti psicomagici possono guarire i traumi degli individui, se replicati su larga scala da un gruppo di persone possono essere utilizzati per curarne i traumi collettivi. E salendo di numero, persino per sanare quelli di comunità intere, o addirittura intere nazioni», promette il regista, che agli atti di “psicomagia sociale” consacra l’ultima sezione del film.
Tra i più suggestivi, “La parata dei morti”, un atto collettivo organizzato a Città del Messico nel 2011 per curare il dolore nazionale per le vittime del narcotraffico, nel quale fa sfilare migliaia di persone travestite da scheletri. L’anno precedente, a Buenos Aires, raduna nuovamente in piazza le madri di Plaza de Mayo, chiedendo loro di compiere un atto psicomagico dal forte potere catartico: liberare delle colombe bianche da scatole con sopra incollate le foto dei figli desaparecidos. Sempre nel 2011 invia un gruppo di donne vestite da papesse a Roma, in piazza San Pietro, dove tutto è poi finito con l’intervento delle guardie svizzere. Più di recente, a fine agosto, lancia via Facebook un atto psicomagico planetario, invitando i cittadini del mondo a piantare ciascuno un albero per esorcizzare il dolore impotente nel vedere l’Amazzonia andare in fumo.
«Anche se muove le masse», precisa, «la psicomagia sociale non ha mai finalità politiche, né tantomeno sacrileghe o distruttive. I governi, che da questa pratica non hanno dunque nulla da temere, dovrebbero sostenerla, oggi più che mai: l’umanità sta sprofondando in un caos autodistruttivo che nessuna ricetta socio-economica, guerra o rivoluzione sembra essere in grado di arginare. La mia speranza? La certezza che vi saranno individui generosi che, consci della necessità di una mutazione spirituale su scala planetaria, organizzeranno in futuro atti collettivi per guidare i popoli verso la pace, la fratellanza e la gioia di vivere». _____________________