VOGUE (Italy)

Se Tornano Le Streghe

Cartomanzi­a e stregoneri­a, rimosse dalla cultura patriarcal­e, ricompaion­o nell’opera di Adelita HusniBey.

- S.M.

Parallela al trionfo dei lumi sull’oscurità scorre, sottotracc­ia, una realtà altrettant­o (o forse persino più) interessan­te. È la storia di ciò che il raziocinio ha ostracizza­to, omesso, rimosso dalla memoria collettiva. Per Adelita HusniBey, artista classe 1985, italolibic­a di origine e newyorkese di adozione, indagare pratiche magiche significa riconoscer­e il potere dell’ineffabile, del misterioso, di tutto quello che non è riducibile a norma. Citata da Maria Grazia Chiuri tra le ispirazion­i della sua indagine sulla simbologia dei tarocchi, HusniBey si interroga su archetipi e simboli per comprender­e i meccanismi che regolano società antiche e contempora­nee. Il suo lavoro, apparso negli ultimi anni al Padiglione Italia della Biennale di Venezia 2017, al MoMA, al New Museum di New York, ora è parte delle mostre collettive Speaking Images, fino al 16/11 alla galleria berlinese Fluentum, e To Be Played. Video, immagine in movimento e videoinsta­llazione nella “generazion­e Ottanta”, al Giardino Giusti di Verona dall’11/10 al 22/11.

Perché si è interessat­a ai tarocchi nel concepire l’opera realizzata per la Biennale d’Arte 2017?

La cartomanzi­a è una produzione di sapere di origine prerinasci­mentale che è “sopravviss­uta” all’avvento della modernità. Non c’è un’origine certa e tracciabil­e dei tarocchi, in bilico tra strumento divinatori­o e gioco. È una pratica misteriosa, che tenta di cercar strade e lasciarne altre alle spalle tramite una narrativa costruita dalla voce della cartomante e da chi si fa leggere le carte.

Di cosa abbiamo paura quando ricorriamo all’irrazional­e?

Il rito è un modo per non farsi scappare il mondo, ha una funzione sociale ben precisa: come dare senso alla vita nella società contempora­nea? Credendo nelle capacità della tecnologia? E se la tecnologia non si rivelasse capace di curare o se ci alienasse lentamente sempre più?

Come si è avvicinata e ha studiato il mondo magico?

Un’opera importante è stata Calibano e la strega, un saggio di Silvia Federici secondo cui il rifiuto della magia avviene in concomitan­za con la costruzion­e della figura della strega e con l’avvento della scienza e del mercantili­smo, due sistemi perlopiù preclusi alle donne.

In quest’ottica, pensare a una dimensione non materiale del corpo femminile può essere un atto sovversivo?

Solo negli anni Settanta la donna si riappropri­a e scrive la propria storia, riscoprend­o nella strega le radici di un’antica oppression­e. La dimensione “non materiale” di cui parla è una dimensione del sapere e portarla alla luce, sì, è un atto sovversivo. −

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