Inez & Vinoodh
Immagini ipnotiche, inquietanti eppure quiete, sospese tra fantasy e reale, tra tecnologia digitale e umanità. Con i grandi cartelloni dipinti a mano in mostra per Vogue Italia a Palazzo Reale, i due fotografi riflettono su questi tempi liquidi, ipotizzan
FRANCESCO BONAMI
Fin dall’inizio della loro collaborazione, Inez van Lamsweerde e Vinoodh Matadin hanno scelto di utilizzare sempre di più la tecnologia digitale nella creazione delle loro immagini. Ma la tecnologia, per i due fotografi, non è mai stata uno strumento sterile e virtuoso, piuttosto un modo per creare contenuto e per riflettere sulle sensazioni e sulle emozioni in continua trasformazione della società contemporanea. Si potrebbe dire che Inez & Vinoodh siano come degli scrittori di fantascienza, nel migliore dei sensi. Ovvero immaginano un futuro molto simile al presente, alterato eppure non snaturato. Guardare il loro lavoro è come leggere un romanzo di Philip Dick, dove il mondo ordinario è dominato da invisibili e sovrannaturali emozioni. Questo approccio si riflette nella mostra a loro dedicata negli appartamenti dei Principi Forestieri di Palazzo Reale a Milano. Dove le loro immagini più iconiche diventeranno grandi cartelloni pubblicitari dipinti a mano. Immagini digitali riprodotte manualmente: una sorta di Back to the Future. Un dialogo fra high tech e low tech sorprendente. L’autore di questo pezzo, che è anche il curatore della mostra, ha incontrato i due fotografi per questa intervista nello studio-abitazione ai confini di Chinatown, New York, in un condominio abbastanza anonimo dove vivono oramai da molti anni, e dove hanno creato il loro laboratorio d’immagini e di idee. Un luogo intimo e personale, una casa-bottega più che un quartier generale.
Da dove arriva questa idea di trasformare alcune delle vostre immagini più iconiche in grandi cartelloni pubblicitari, alterando completamente la scala delle immagini e il loro rapporto con lo spettatore?
Siamo abituati a vedere i nostri lavori sui grandi billboard per le strade di tante città del mondo. La consideriamo un po’ come la nostra arte pubblica, fuori dai musei e dalle gallerie. Portare questi cartelloni dentro Palazzo Reale crea una bellissima contraddizione, intrecciando il confine fra spazio urbano e spazio storico, fra esterno e interno, fra il nostro lavoro commerciale e quello privato. La tecnica iperrealista della pittura con la quale sono stati creati aggiunge un ulteriore livello di distorsione e fa allusione ai ritratti storici, alle nature morte e agli affreschi che decoravano i grandi palazzi. Non solo: questa tecnica ci consente di mostrarli fuori scala rispetto alle dimensioni delle stanze, e anche questo creerà un particolare rapporto fra lo spettatore e le nostre opere.
Il vostro lavoro di solito è basato sulla trasformazione digitale e sull’high tech, mentre nella mostra sembrate andare nella direzione opposta.
Viviamo in un mondo digitale dove tutto va sempre più veloce. Ma abbiamo notato che le riviste cartacee e i billboard sparpagliati in giro per le città ci offrono informazioni e stimoli di novità molto, ma molto maggiori di qualsiasi cosa vediamo online. Dipingere il nostro lavoro a mano aggiunge un tocco di umanità in più: le figure che abbiamo deciso di mostrare fanno riferimento alle idee di pittura, di collage e manipolazione digitale con le quali abbiamo sempre lavorato. Passate dalle immagini ferme a quelle del video in movimento con molta naturalezza. In quale dei due mezzi trovate più libertà?
Il passare da una cosa all’altra per noi è normale, fa parte del nostro modo di lavorare. Entrambi i mezzi ci offrono la libertà che vogliamo e cerchiamo. Tuttavia il concetto principale di ogni video inizia da un’immagine statica con la quale studiamo i punti di vista che useremo con la macchina da presa.
La vostra iconografia ha un’identità unica, sembra quasi che arrivi da un altro pianeta. È difficile riuscire a capire le vostre fonti d’ispirazione. Ne avete alcune alle quali siete tornati regolarmente nel corso della vostra carriera?
Ritorniamo sempre ai tempi della scuola d’arte e a quando eravamo adolescenti, ma ci piace comunque sperimentare e spingere più in là i limiti. Come ha scritto Michael Bracewell nel libro sul nostro lavoro: ÒCome se stessero rotolando al ritmo di un catalogo della storia della sotto cultura, le figure nelle fotografie fanno la loro sfilata: ipnotiche e inquietanti allo stesso tempo, le figure ci affrontano in modo aggressivo ma sembrano rimanere tranquille. Le immagini posseggono
un’intimità viscerale, come se i soggetti di queste fotografie stessero respirando, a riposo davanti allo spettatore; tuttavia prendono il loro posto dietro la lente, in un mondo reale quanto il nostro, ma con confini e convenzioni liquefatte. Guardate più da vicino e la sottile algebra erotica starà facendo il suo lavoro – animando molte immagini come se operasse a un livello subsonico, intenso ed apparente ma mai esagerato. Da qualche altra parte appare il volto umano come documento del viaggio della vita – e in molti casi è rilavorato per nuovi fini estetici: eroici, comici, assurdi, sinistri, ricomposti all’interno i limiti della leggibilità”.
Il vostro approccio al lavoro è cambiato nel corso degli anni? Con il tempo arriva l’esperienza e la facilità nel fare certe cose. Abbiamo imparato a stendere le nostre idee su molte fotografie diverse anziché tentare di infilarne quaranta dentro una sola immagine. Come si è trasformata la vostra relazione dall’inizio del vostro sodalizio?
Lavoriamo sempre nello stesso modo: scambiandoci idee in continuazione mentre al tempo stesso facciamo delle foto. E selezioniamo senza mai stare a pensare a chi fa cosa, o chi ha scattato. Siamo in simbiosi.
Qual è, o quali sono, le immagini che considerate spartiacque nella vostra carriera?
Forse la prima serie di foto su The Face nel 1994, tipo l’immagine “Well Basically Basuco Is Coke Mixed with Kerosene”. In quell’occasione combinammo per la prima volta sul computer immagini separate per il background e il foreground. Ma anche la campagna per Balenciaga del 1999, dove andammo di proposito contro il perfezionismo del mondo dei computer. I Flower Portraits degli ultimi sei anni sono a loro volta un lavoro importante perché ci avvicinano alla pittura astratta. Nel 2010 iniziammo a usare la Red camera per i nostri video e questo ci consentì la stessa improvvisazione alla quale eravamo abituati con le nostre stills.
Pensate che i social media abbiano qualche influenza su come il vostro lavoro e quello di altri artisti è percepito dal pubblico? Per noi i social media sono come un magazine privato attraverso cui possiamo comunicare direttamente con il nostro pubblico. Ci piace l’idea che tutti oggi siano così concentrati nel guardare.
Che effetto hanno le mostre sulla vostra produzione artistica, e come funzionano per voi?
Ci offrono l’opportunità di distillare l’immensa quantità d’immagini prodotte nel corso degli anni. È un modo di osservare trent’anni di lavoro insieme, e di cercare la combinazione di opere di epoche diverse che possano riflettere come ci sentiamo oggi. ____________________
English version available on #VOGUEITALIAPODCAST La mostra “Hi-Lo Transformers” di Inez & Vinoodh, a cura di Francesco Bonami, sarà aperta al pubblico dal 31 ottobre al 13 novembre ed è parte del “Photo Vogue Festival”, giunto alla sua quarta edizione e divenuto un brand simbolo di cultura ed eccellenza in campo fotografico. Oltre al cuore della manifestazione, che rimane la opening week a BASE in via Bergognone 34 (dal 14 al 17 novembre), il festival prevederà diversi appuntamenti durante l’arco dell’anno. Su Vogue.it è possibile consultare il ricco programma di eventi e mostre collaterali organizzati da prestigiose gallerie, dalle istituzioni di Milano e dalle scuole di fotografia. Un’occasione unica per tutti gli appassionati di fotografia, arte e moda di entrare in contatto con professionisti e figure chiave del settore: i grandi maestri della fotografia, i curatori e le agenzie più importanti.
A destra. “Inez van Lamsweerde - The Gentlewoman”, 2010. Nelle pagine precedenti, da sinistra. “Gaga & Inez - V Magazine”, 2015; “Me#10”, 1998. In apertura. “Kirsten”, 1996.