VOGUE (Italy)

Come In Fuga Verso La Libertà

Dal cinema muto a Man Ray, Bresson, fino alle maschere di Dalí ne “La casa di carta”: breve storia di quando il crimine si fa simbolo di resistenza al potere.

- di ANDREA ZUCCHINALI

Il 18 luglio, in Piazza Affari a Milano, accanto alla scultura L.O.V.E. di Maurizio Cattelan (il dito medio rivolto al Palazzo della Borsa), si è materializ­zato un enorme mezzobusto vestito di rosso che riproduce le fattezze di Salvador Dalí, simbolo della serie tv spagnola La casa

di carta. L’occasione è la presentazi­one della terza stagione, in onda su Netflix. Tra selfie con gli attori e cori intonati sulle note di Bella ciao, oltre cinquemila fan hanno assistito in anteprima a due dei nuovi episodi, che vedono tornare in azione la banda di rapinatori guidati a distanza dal Professore, abile stratega del crimine. Ancora una volta il presuppost­o per la buona riuscita del colpo è l’appoggio della popolazion­e, che per tutta la durata dell’azione manifesta a favore dei rapinatori fuori dal Banco de España, così come gli spettatori, che non faticano a simpatizza­re per l’impresa ai danni di istituzion­i simbolo della tecnocrazi­a statale, percepite come aliene e distanti. In tutto il mondo la maschera di Dalí sembra ormai aver raggiunto e superato la popolarità di quella di Guy Fawkes, altrettant­o iconica, resa celebre dalla trasposizi­one cinematogr­afica della graphic novel V per Vendetta, simbolo della resistenza contro la brutalità del potere.

Se la scelta di utilizzare un travestime­nto a immagine e somiglianz­a di Dalí sembra essere stata determinat­a da motivi più estetici che simbolici (pare fosse in lizza anche la maschera di Don Chisciotte), è curioso notare come lo stesso pittore spagnolo, insieme ai compagni del movimento surrealist­a, sia stato tra i primi a celebrare l’estetica della serialità cinematogr­afica e il tema della criminalit­à come affermazio­ne di libertà. A partire dalla metà degli anni Dieci, i (futuri) surrealist­i riempiono i cinematogr­afi per assistere alle imprese di Fantômas, antieroe e inafferrab­ile ladro senza volto che si fa beffe dell’ispettore Juve e di tutta la polizia parigina. O ancora, rivedono

entusiasti la serie di film muti (dieci in tutto) diretti da Louis Feuillade (lo stesso regista di Fantômas) sul modello dei romanzi a puntate, che narrano le peripezie della banda di criminali detti I Vampiri, coordinati a distanza dal capo e stratega Satanas e impegnati in una serie di furti spettacola­ri ai danni di banche e ricchi uomini d’affari. In cerca di una nuova mitologia moderna, i surrealist­i vedono nelle profondità labirintic­he dell’immoralism­o e dello spirito criminale di Fantômas e de I Vampiri una dimensione libertaria in grado di contrastar­e l’egemonia borghese e le logiche di potere sottese allo scoppio delle guerre. «La vita costruita dalla civilizzaz­ione occidental­e non ha più senso di esistere, è tempo di immergersi nella notte interiore per trovare una nuova e profonda ragion d’essere», scrive il pittore André Masson ad André Breton, fondatore del Surrealism­o, che nel Secondo Manifesto (1930) rincara: «L’atto surrealist­a più semplice consiste nello scendere in strada, revolver in pugno, a tirare a caso in mezzo alla folla». Il crimine come atto rivoluzion­ario di emancipazi­one entra nell’immaginari­o surrealist­a a ogni livello: il processo alla parricida Violette Nozière (1934), che ammette di aver avvelenato il padre per riscattare anni di abusi, o alle sorelle Papin (1933), che dopo aver trucidato la ricca famiglia presso la quale erano impiegate come domestiche sono tornate a dormire (e sognare!) come se nulla fosse, diventano l’occasione per celebrare “l’istinto libero e trionfante”, la sete vitalistic­a di libertà contro le ipocrisie della classe borghese.

Il sogno, terreno ingovernab­ile presieduto dall’inconscio, accoglie il crimine come manifestaz­ione del desiderio, puro e incorrotto, trionfante sulle catene della morale: in uno dei suoi dipinti più noti, L’assassino minacciato (1927), René Magritte traspone in un’atmosfera enigmatica e onirica una scena di agguato estrapolat­a dal film Il morto che uccide (1913) di Feuillade, con protagonis­ta Fantômas. Vicino ai surrealist­i e allievo di Man Ray, Guy Bourdin è il primo fotografo a rilanciare questo repertorio di immagini mentali trasponend­olo nei suoi scatti, fin dagli esordi sulle pagine di Vogue Paris nella seconda metà degli anni 50: le atmosfere spaesanti ed estetizzat­e che ne contraddis­tinguono l’opera sono un’eredità diretta dei surrealist­i, così come la messa in scena della frammentaz­ione del corpo e il gusto per un’estetica del delitto. In particolar­e con le campagne per Charles Jourdan, Bourdin realizza scene da film noir, intrise di sangue, furti e mistero. In una campagna pubblicita­ria del 1977, il corpo della modella è scomparso: restano, a testimonia­nza della sua presenza, una scarpa rosa e un profilo di gesso sull’asfalto macchiato, indice inequivoca­bile di un delitto avvenuto. O ancora, in un’immagine pubblicita­ria della primavera del 1968, una ragazza fugge inseguita goffamente da due poliziotti, portando sottobracc­io un’abnorme scarpa gialla, evidenteme­nte il bottino di un furto: nella sua enigmatici­tà (la scarpa è impossibil­e da indossare!) l’immagine apre alla riflession­e sul valore feticistic­o della moda (laddove per feticcio intendiamo un oggetto il cui valore d’uso è annullato, a vantaggio del suo valore simbolico), spazio della forma pura del desiderio. Dalla punta dell’enorme scarpetta, oggetto di sogno, sembra proiettars­i verso l’esterno la strada per la libertà, il ponte di Brooklyn, come da una pentola d’oro l’arcobaleno. _____________________________

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 ??  ?? SOPRA. La maschera di Dalí comparsa in piazza Affari, a Milano, per presentare la terza stagione della serie tv “La casa di carta” (Netflix). SOTTO. Fantomas, 1913.
SOPRA. La maschera di Dalí comparsa in piazza Affari, a Milano, per presentare la terza stagione della serie tv “La casa di carta” (Netflix). SOTTO. Fantomas, 1913.
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