Il Pesce Fuor D’Acqua
Etgar Keret dice di non capire più il mondo in cui vive. Per questo ha deciso di scrivere i racconti più stranianti della nuova stagione letteraria.
C’è un angelo, deputato a zappare le nuvole, la cui felicità è «molle come l’elastico di un paio di mutande dopo troppi lavaggi». C’è un pesce rosso che, ogni notte, esce dal proprio acquario, si infila le pantofole del padrone di casa e guarda i cartoni alla tv. Ci sono padri che diventano conigli, uomini-cannone, agenti extraterrestri. A Etgar Keret, lo scrittore israeliano la cui nuova raccolta di racconti esce in Italia il 7 novembre (Un intoppo ai limiti della galassia, Feltrinelli) non fa difetto la fantasia.
Come mai ci sono tante creature immaginarie nei suoi racconti?
L’unico confine della fiction è l’immaginazione dello scrittore, e a volte è più facile parlare delle emozioni usando metafore estreme, come il pesce-umano o il padre-coniglio.
So che il libro, il cui stile visionario è stato paragonato dal New York Times a quello di Kafka, è nato in un momento particolare della sua vita.
Sì, l’ho scritto dopo un brutto incidente d’auto. Quando si sono aperti gli airbag ho pensato che sarei morto, e mentre salutavo il mondo mi sono improvvisamente reso conto che, anche se mi appariva bello, non lo capivo più. Colpa dei troppi cambiamenti – nella tecnologia, ma soprattutto nelle nostre strutture politiche e sociali... Voglio dire, francamente non mi capacito di come uno come Trump possa farla franca con le cose che combina. O perché le discussioni abbiano cessato di basarsi sui fatti, e si basino su “fatti alternativi”. È questo che ha generato il libro.
Il lato grottesco, surreale e assurdo dei racconti fa riflettere sulla condizione umana – sui fallimenti, la solitudine, le famiglie disfunzionali – senza giudicare. Ci sono simboli, metafore fantasiose... È un retaggio della tradizione ebraica? Piuttosto, scrivere per me è come il rito cattolico della confessione. La storia è quel luogo in cui puoi smettere di fingere o reprimerti, e dire semplicemente la verità. A volte mi capita di restare scioccato rileggendo i sentimenti che finiscono nei miei racconti.
Anche nelle storie più dark, però, c’è sempre qualcosa che fa sorridere.
Lo humor è il segreto per mantenere una certa dignità durante questa esperienza umiliante chiamata vita! È la rete di salvataggio, l’airbag che si apre nei momenti più terribili. Come nella narrativa di Kafka.
Il testo che dà il titolo al libro si prende gioco dell’escapismo e fa dell’ironia sull’Olocausto. Le ha creato problemi? Finché le battute cercano di dire una verità non possono essere pericolose – forse scomode, perché mettono a nudo ciò che imbarazza. Lei è anche regista. A cosa sta lavorando? È quasi pronta una serie dal titolo L’agent immobilier prodotta da Arte per la Tv francese. Il protagonista, l’attore Mathieu Amalric, è un agente immobiliare che viaggia nel tempo e riceve consulenze legali dal suo pesce rosso. Un incrocio tra David Lynch e Charlie Chaplin.__