VI RACCONTO IL NUOVO MOMA
I musei non sono mai stati così popolari: il pubblico americano li frequenta più degli eventi sportivi e dei parchi a tema – 850 milioni di visite ogni anno. Crescono le presenze, le istituzioni si fanno più grandi, più ricche, più aperte. Il MoMA (Museum of Modern Art) di New York riapre il 21 ottobre dopo quattro mesi di chiusura per ristrutturazione. Un progetto di espansione e reinvenzione, affidato allo studio Diller Scofidio + Renfro in collaborazione con Gensler, per 3.700 metri quadrati di nuove gallerie espositive, dove presentare più opere con metodi innovativi e multidisciplinari. Sarà ancora «immaculate, rectilinear, capacious, and chaste», come John Updike lo descrisse nel 2004, dopo l’espansione a opera di Yoshio Taniguchi? A raccontare a Casa Vogue cos’è oggi un museo, come si trasforma una delle cattedrali mondiali dell’arte, è Glenn D. Lowry, che dirige il MoMA dal 1995.
Che cosa rappresenta oggi secondo lei il museo?
Penso che sia un’idea, prima che un luogo fisico. E quell’idea sviluppa un’urgenza intorno a sé, si esprime attraverso le opere d’arte e un programma che richiedono anche uno spazio in cui accadere, come conseguenza. Per il MoMA, l’idea che ne è stata all’origine è che l’arte di oggi è importante quanto l’arte del passato. Esplorare questa idea significa collezionare, studiare, interrogare e spiegare le opere odierne in relazione tra loro, in uno spazio dove mostrare anche un modo nuovo di pensare tutta l’arte: la pittura e la scultura, ma anche il cinema, la fotografia, l’architettura e il design.
Perché il MoMA aveva bisogno di espandersi con un progetto così ambizioso e dispendioso, da ogni punto di vista?
Le ragioni sono diverse. La nostra collezione è cresciuta molto, serviva più spazio per esporla. Ma anche il tipo di arte che collezioniamo è mutato: per esempio per le performance ci mancavano luoghi adatti per mostrarle e farne esperienza. Anche il nostro pubblico è cresciuto, così per accoglierlo meglio serviva spazio, più fluido, intuitivo e generoso, per consentire di percorrere il museo in modo piacevole. Ciò che ha reso il MoMA unico è stato il rapporto con midtown Manhattan: volevamo rendere questo legame più evidente anche fisicamente, affinché l’energia della città diventasse l’energia del museo e viceversa.
È possibile rinnovare il modo di presentare l’arte moderna?
Ci sono alcune strategie che guidano la nostra missione. Prima di tutto manterremo l’idea del flusso cronologico che esiste ora, partendo dalle opere più contemporanee per andare indietro nel tempo fino all’arte più remota, che per noi significa 100-125 anni fa. In quel flusso cronologico, vogliamo accostare e far dialogare opere di diversi media, senza divisioni tra architettura, pittura, fotografia, cinema, perché l’arte moderna si esprime con linguaggi diversi. Poi, a differenza di quanto acca
de oggi, vogliamo far sì che la nostra collezione, che è sempre stata percepita come permanente, diventi un work in progress, in modo tale che anche le gallerie possano cambiare almeno del 30 per cento ogni anno, facendo posto alle opere nei depositi. I capolavori saranno sempre in mostra, ma il resto intorno potrà mutare.
Questi cambiamenti saranno comprensibili per i visitatori?
Alcuni risponderanno subito in modo positivo, altri andranno aiutati. Il programma educativo è ricco: uno dei nuovi spazi è una piattaforma dedicata all’istruzione, in mezzo alle gallerie espositive, dove partecipare a dibattiti, istruirsi, lavorare su alcuni progetti e avere il supporto necessario alla comprensione. Sì, qualche visitatore sarà confuso, non troverà il museo che si aspettava, e starà a noi rendergli la visita piacevole. Al MoMA ci sono opere che tutti vogliono vedere, come “La Danse” di Matisse, i quadri di Pollock e le “Campbell’s Soup Cans” di Warhol. Faremo in modo che siano facili da trovare, come degli ancoraggi, così che da lì chiunque possa esplorare capolavori meno noti o sconosciuti.
Ha citato pittura, scultura, fotografia, cinema, design e architettura. E la moda?
Nel 2017 abbiamo prodotto una mostra importante, “Items: Is Fashion Modern?”, curata da Paola Antonelli. Nella nostra missione fondativa, c’è l’idea di esplorare l’arte moderna in tutte le espressioni, e la moda è una parte fondamentale del nostro modo di esprimerci. È un territorio che va percorso e interrogato, non come fa, egregiamente, il Metropolitan Museum, che ha infatti una missione diversa. Noi, per esempio, abbiamo una collezione di textile design, perché lì c’è innovazione, per come gli artisti hanno esplorato il progetto e la produzione; è una dimensione importante dell’esperienza del contemporaneo. Faremo altre mostre per indagare questo ambito? Me lo auguro davvero.
Tra le nuove sezioni, The Studio ospiterà programmi e live show. Come nasce l’idea?
Il MoMA ha accolto performance di danza e teatro dagli anni 40. Poi, per qualche motivo, si è smesso. Ora tutto ciò avrà una nuova casa, dove poter “accadere” anche in modo spontaneo, perché molti artisti oggi realizzano performance dal vivo come forma espressiva per resistere al mercato e creare con il pubblico una relazione diversa rispetto a un’opera statica. Lo abbiamo chiamato “The Studio” perché fosse uno spazio in progress, flessibile, dove partecipare alle prove o assistere al lavoro degli artisti. È al quarto piano, il soffitto è a doppia altezza, per comunicare anche con il quinto piano, e guardare da lassù i performer al lavoro, dentro il circuito del museo, e non in una sala separata.
Come può un’istituzione confrontarsi con ciò che sta accadendo nel contemporaneo?
Il MoMA, da questo punto di vista, è un luogo strano. Siamo stati fondati per essere nel presente, all’avanguardia, con artisti e curatori che si interrogavano su ciò che era rilevante in quel momento. Oggi abbiamo 90 anni e più cognizione anche del recente passato, ma il nostro futuro è interamente dedicato ad artisti ancora sconosciuti e a curatori emergenti; vogliamo essere un pilastro per le generazioni a venire.
Come sarà il museo del futuro? E quale il suo ruolo nella società?
I musei di arte moderna e contemporanea, che hanno un ruolo diverso dagli altri musei, sono luoghi di dibattito, di coinvolgimento, di affermazione di valori, e di piacere. Questo non cambierà mai. I nostri valori sono la tolleranza, la generosità, l’apertura e l’accettazione del diverso. Musei come il nostro li affermano, attraverso l’arte che collezioniamo, la relazione con il pubblico, le mostre che ospitiamo, con la convinzione che un mondo unito, in cui la libertà di espressione e di movimento sono fondamentali, sia un mondo migliore. Siamo un luogo che promuove il dialogo, aperto anche a chi la pensa diversamente. Non è forse un gesto politico, questo?