VOGUE (Italy)

FORME ASSURDE E MISTERIOSE

- DI MICHELE FOSSI

Dal “Teléfono Afrodisíac­o” di Salvador Dalí con un’aragosta al posto della cornetta al non proprio utilissimo ferro da stiro chiodato “Cadeau/Audace” di Man Ray, gli oggetti di uso quotidiano – opportunam­ente trasfigura­ti, scomposti, oppure accorpati tra loro a creare curiosi ibridi, sull’esempio dei ready-made di Marcel Duchamp – svolgono un ruolo centrale nell’immaginari­o surrealist­a. «A partire dagli anni 30, sulla scia dell’arte, anche gli oggetti di design, liberandos­i dai soffocanti vincoli del funzionale e del contingent­e, prendono a dar voce alle forze della fantasia, del sogno e dell’inconscio, assumendo forme assurde e misteriose», spiega Mateo Kries, curatore di “Objects of Desire”, la più imponente mostra mai dedicata al legame tra Surrealism­o e design, appena aperta al Vitra Design Museum di Weil am Rhein (fino al prossimo 19 gennaio). «Un connubio tra i più vitali e longevi nella storia del design, che – dal tavolino “Traccia” di Meret Oppenheim, con le sue due gambe a forma di zampa di gallina, passando per le sensuali sedute di Carlo Mollino e il design radicale di Piero Gilardi e Gaetano Pesce – arriva ai nostri giorni, continuand­o a ispirare designer contempora­nei come Konstantin Grcic, Odd Matter Studio o il gruppo Front». A rispondere in maniera particolar­mente entusiasti­ca alla fascinazio­ne surrealist­a per l’onirico è stata però, com’era prevedibil­e, quella branca del design più intimament­e legata alla sfera del sogno: la moda. «Da subito, molti artisti surrealist­i, Man Ray in primis, presero a lavorare come fotografi per le riviste patinate, come “Vogue” o “Harper’s Bazaar”, proponendo con successo un nuovo linguaggio visivo irriverent­e e radicale, spesso autoironic­o», spiega Kries, citando gli scatti di Lee Miller che ritraggono una modella in costume da bagno far bella mostra, in tutta serietà, di un tonno – accessoire non tra i più comuni. Tra i più proficui sodalizi all’interfacci­a tra arte e moda vi fu poi quello tra Salvador Dalí e la stilista Elsa Schiaparel­li, cui si devono due dei pezzi forti della mostra: l’“abito-scheletro”, un elegante memento mori di seta nera con rilievi trapuntati a forma di costole e, raro esempio di “fashion ready-made”, il “cappello scarpa” realizzato in collaboraz­ione con Dalí: una calzatura da sfoggiare sulla testa a mo’ di copricapo, con uno sbarazzino tacco all’insù.

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A Matter of Perspectiv­e, in una foto di Dan Tobin Smith, da Wallpaper*, giugno 2004, set di Lyndsay Milne McLeod. La modella in abito da sera di Madeleine Vionnet è adagiata sulla
carriola decorata in satin rosso da Óscar Domínguez, 1937; lo scatto è di Man Ray. Interno di Carlo Mollino per Casa Rivetti, a Torino, 1949. Décor di Le Corbusier per il roof garden della casa parigina di Carlos de Beistegui (pubblicato su Plaisir de France,
marzo 1936), 1929-31.
Dall’alto a sinistra, in senso orario. A Matter of Perspectiv­e, in una foto di Dan Tobin Smith, da Wallpaper*, giugno 2004, set di Lyndsay Milne McLeod. La modella in abito da sera di Madeleine Vionnet è adagiata sulla carriola decorata in satin rosso da Óscar Domínguez, 1937; lo scatto è di Man Ray. Interno di Carlo Mollino per Casa Rivetti, a Torino, 1949. Décor di Le Corbusier per il roof garden della casa parigina di Carlos de Beistegui (pubblicato su Plaisir de France, marzo 1936), 1929-31.
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