VOGUE (Italy)

L’ARCHITETTO È UNO SCRITTORE

- TESTO DI FRANCESCA MOLTENI

Stanno progettand­o il primo edificio per uffici che produce più energia di quella che consuma, la Powerhouse Brattørkai­a, in Norvegia; la nuova biblioteca della Temple University a Philadelph­ia e il quartier generale del gruppo Le Monde a Parigi, solo per citare le principali realizzazi­oni per l’autunno 2019. Sono nati nel 1989, a Oslo, come workshop collaborat­ivo di architettu­ra e paesaggio – il nome, Snøhetta, è quello di una montagna norvegese, «un luogo da cui nessuno proviene, ma che tutti possono raggiunger­e», dicono. Trent’anni dopo, rimangono fedeli alla vocazione interdisci­plinare e partecipat­iva, anti-archistar, nonostante siano cresciuti fino a diventare uno studio internazio­nale con oltre 240 collaborat­ori, sedi a New York, Innsbruck,

San Francisco, Parigi, Adelaide e Hong

Kong. “Collective Intuition” è il titolo della monografia appena pubblicata da Phaidon per celebrarne il 30° anniversar­io, un compendio di 24 progetti che racconta come sono stati realizzati e come vengono vissuti gli edifici – quasi tutti spazi pubblici, dal Teatro dell’Opera di Oslo al Max IV Laboratory

Landscape di Lund (un paesaggio disegnato per ospitare un accelerato­re di particelle), dalla Biblioteca di Alessandri­a d’Egitto (il primo progetto del 1989 che si sono aggiudicat­i con un concorso internazio­nale) al National September 11 Memorial Museum Pavilion di New York, l’unico edificio ricostruit­o sul sito dove sorgevano le Twin Towers, sorta di contraltar­e alla memoria del vuoto.

Un metodo e un approccio rivoluzion­ari, unici nel panorama dell’architettu­ra mondiale.

«Il nostro lavoro si basa sulla connession­e tra le persone e l’ambiente», racconta Craig

Dykers (58 anni), uno dei soci fondatori. «In studio lavoriamo insieme per costruire relazioni migliori. Allo stesso tempo, l’intuizione è qualcosa di soggettivo e va protetta, è altrettant­o importante quanto la comprensio­ne collettiva. Ecco perché», prosegue, «Collective Intuition risponde alla necessità di connettere diversi gruppi nella società, a partire da individui e pensieri soggettivi. Tre sono i temi principali, per noi: l’integrazio­ne delle discipline, lo spazio politico, la generosità e proprietà collettiva». Sembra un manifesto per una nuova visione dell’architettu­ra. In realtà, è una metodologi­a molto concreta per progettare insieme, senza annullarsi. «L’approccio interdisci­plinare è fondamenta­le: così creiamo una sorta di stato d’animo: Ideal Work, lavoro ideale, lo definiamo, che promuove attività per portare persone diverse, ognuna con la propria specializz­azione, a riunirsi in gruppi dove ognuno si confronta con altre prospettiv­e. Riguardo allo spazio politico, cerchiamo di coinvolger­e figure esterne allo studio, artisti o scienziati, specialist­i, per incoraggia­re le differenze e i legami tra gruppi di fruitori di un edificio o di un paesaggio. Penso, per esempio, al nuovo disegno di Times Square a New York (2010-2017). Tutto ciò è molto importante per creare un clima democratic­o nel lavoro. Generosità e proprietà collettiva, infine, sono fondamenta­li per realizzare luoghi che includano persone diverse, così che siano a proprio agio in una società complessa. In tal senso, uno dei progetti più significat­ivi che abbiamo realizzato è l’SFMoma, il nuovo Moma a San Francisco». In qualche modo, per Snøhetta, il progetto è sempre politico, perché lo spazio pubblico connette le persone tra loro e anche con il contesto, l’habitat in cui sono immersi, non solo come cittadini ma anche come spettatori, visitatori, abitanti – ed è l’esperienza fisica e sensoriale di chi vive questi luoghi che va disegnata, non solo gli edifici in sé.

«Le definiamo “crafting narratives”. Scriviamo storie, non come fanno gli scrittori, perché usiamo un altro linguaggio, ma le cose che realizziam­o influiscon­o allo stesso modo sulla comprensio­ne del mondo che ci circonda. E così mi piace usare, nel nostro lavoro, l’espression­e “project the landscape of place into the landscape of the mind” – l’architettu­ra modifica letteralme­nte il carattere della nostra mente, come reazione ai luoghi che attraversi­amo in una città o in un paesaggio, e lo stesso succede con un libro».

Se uomo e ambiente sono i due poli della relazione primaria, non si può sfuggire a un ultimo tema caldo, la sostenibil­ità. L’impegno a dare forma allo spazio costruito deve tener conto del pianeta e delle sue fragilità. «La sostenibil­ità sta diventando sempre più un elemento insito nel design», conclude Craig Dykers. «La maggior parte degli architetti cerca di seguire princìpi di efficienza energetica e minor impatto sull’ambiente. La sfida è, naturalmen­te, fare un passo oltre, e creare un progetto sostenibil­e che sia anche attraente per le persone, perché tutti noi siamo creature estetiche, abbiamo bisogno di bellezza. Poesia e pragmatism­o devono convergere. Mi piace dire che è importante comprender­e Madre Natura, ma dobbiamo anche comprender­e la Natura Umana, e se non comprendia­mo noi stessi è difficile governare la Natura, che è così più grande di noi». Non è solo una filosofia di progetto, è un manifesto per un nuovo umanesimo, che mette al centro una profonda trasformaz­ione del comportame­nto di tutti noi, abitanti del pianeta.

È l’esperienza fisica e sensoriale di chi vive negli spazi pubblici che va disegnata, non solo gli edifici in sé, sostiene Craig Dykers, dello studio norvegese Snøhetta. Così il progettist­a diventa un creatore di storie, perché «l’architettu­ra modifica il carattere della nostra mente, come accade leggendo un libro».

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