NEGLI OCCHI DI GISÈLE
Foto di Annemarieke van Drimmelen Testo di Francesca Molteni
C’è il mondo, negli occhi di Gisèle, a casa di Gisèle. La gioia, l’infanzia, l’arte, la libertà, la Grecia, la poesia, l’amicizia, il terrore, la nobiltà. L’enigma, anche. Una misteriosa eroina del nostro tempo, riconosciuta nel 1997 tra i “Giusti fra le Nazioni”, il titolo assegnato dallo Yad Vashem, l’ente israeliano per la Memoria della Shoah, ai non ebrei che hanno rischiato la vita per salvare gli ebrei durante l’Olocausto. Come, ad altre latitudini, il nostro Giorgio Perlasca e Gino Bartali. A casa di Gisèle, tra i canali di Amsterdam, trovano rifugio artisti, scrittori, poeti perseguitati perché ebrei. Lo scrittore Friedrich Buri e lo studioso Claus V. Bock, tra gli altri. Trovano una casa ma anche amicizia, protezione, linfa e sostentamento. Gisèle rifiuta di iscriversi al Kulturkammer, l’istituto creato dai nazisti cui gli artisti sono obbligati ad aderire per continuare a lavorare, diventando, di fatto, un’artista clandestina.
«La mia vita è stata a rischio ogni secondo che passavo fuori dalle quattro mura di casa mia», racconta, «era come se camminassi su una corda sospesa in aria, cercando di bilanciarmi per preservare il mio equilibrio mentale». Eppure, viaggia per tutto il paese, dipingendo ritratti di ricchi industriali su commissione e, con i suoi quadri, mantiene gli amici che non possono lavorare. Pare non sappia cucinare neanche un uovo, Gisèle, ma il cibo per l’anima non manca. «Finché scrivevamo storie e poesie, nulla poteva succederci», ricorda il professor Bock. L’ingenuità e il coraggio della disperazione. Una famiglia spirituale che si arricchisce nel dopoguerra di tanti giovani talenti, come Max Beckmann, Aldous Huxley, Marguerite Yourcenar, Karel Appel e Georg Baselitz. Si fermano tutti lì, negli occhi di Gisèle, a discutere di poesia fino all’alba, e lasciano tracce, memorie, doni di fratellanza. Quando, anni dopo, le chiedono quale sia stato il periodo migliore della sua vita, lei dichiara, con innocenza e senza esitazione: «La guerra. Lì ho imparato il significato della parola amicizia». Una vita piena, che ancora parla tra le mura del numero 401 di Herengracht, nel centro di Amsterdam, una fortezza dove si preserva la ricerca, la diversità, l’accoglienza.
“Arte, cultura, libertà e amicizia” è il motto di Gisèle d’Ailly van Waterschoot van der Gracht, un nome difficile, che ne rivela la complessità delle radici. Nata all’Aia nel 1912, madre baronessa e padre geologo, si trasferisce con la famiglia negli Stati Uniti, per tornare in Europa dopo la crisi del ’29. Studia l’arte del vetro con il maestro Joep Nicolas, e poi all’École des Beaux Arts di Parigi. Nel 1940 realizza il suo sogno di bambina, torna a vivere nella strada dove è cresciuto il padre, ad Amsterdam, in un edificio costruito nel 1786, 60 metri quadrati senza bagno e cucina. Si innamora subito di quelle finestre e della vista spettacolare sulla città, e accoglie Wolfgang Frommel, poeta e scrittore tedesco, il primo di tanti amici che trovano dimora nella sua bolla di libertà. Qui si stringono legami eterni. Vivono d’arte, si nutrono di parole. Nessuno si può muovere da lì, da quello spazio minuscolo, con il terrore dei tedeschi fuori, fino a sera, quando le tende scure nascondono la casa dietro un velo di mistero. Pace e quiete dentro casa sono le uniche armi, libertà d’espressione e letture un metodo di resistenza, nei tempi oscuri della storia. Il rifugio viene soprannominato “Castrum Peregrini”, ispirandosi al Castello del Pellegrino di Haifa, in Israele, mai espugnato.
Dopo la guerra, Gisèle riesce a comprare l’intero palazzo di Herengracht che diventa sede dell’associazione culturale e della casa editrice con lo stesso nome. Si trasferisce ai piani superiori, dove vive con il marito, Arnold d’Ailly, l’ex sindaco di Amsterdam, tra un viaggio e l’altro a Paros, in Grecia, dove la coppia trasforma un monastero abbandonato in un castello. Preservano inalterato il terzo piano di 401 Herengracht, prima dimora della comunità di artisti, e lo donano a Wolfgang Frommel. Ricerche recenti su Frommel e la sua cerchia di amici hanno rivelato vicende di abusi. È un nuovo capitolo che si aggiunge alla storia di questa casa, in cui alcune vite sono state salvate, altre danneggiate.
Un luogo dove il tempo, ancora oggi, sembra essersi fermato. Labirinto di scale, corridoi, stanze, che rievocano la personalità intensa dell’artista e dei suoi ospiti. Nello studio, bianco di luce, foto e oggetti dell’infanzia trascorsa tra gli indiani americani del Wild West, mobili del castello austriaco della madre e della sua famiglia nobiliare, arredi della casa olandese del padre. E poi, i suoi dipinti e le collezioni di conchiglie, ossa, minerali, piume e foglie. Come se la natura, in tutte le sue forme e dettagli, fosse l’unica difesa contro le ideologie, insieme all’arte.
Un archivio vivo. È un luogo magico che ci mette in contatto con le nostre emozioni profonde: paura, diffidenza, istinto di sopravvivenza, sacrificio, responsabilità, fiducia, amore, fede nella verità e nella giustizia. Nessuno può rimanere indifferente. Sì perché Gisèle, che muore nel 2013 a 100 anni, lascia un’eredità importante come la lotta per la libertà, ma anche uno spazio di sperimentazione e condivisione per tutte le arti, che ospita mostre, incontri, residenze e attività culturali di ogni tipo. La House of Gisèle, oggi aperta al pubblico, rimane lì, tra i canali di Amsterdam, contraltare e completamento della Casa di Anna Frank. Là memoria immateriale di una storia individuale, qui Wunderkammer di vite e di oggetti, opere e meraviglie collettive. Una trincea contro la mediocrità, l’oblio e il conformismo e, insieme, il testamento vivente di una donna eccezionale, con gli occhi bambini anche a 100 anni.
IL TEMPO SI È FERMATO IN QUESTO PALAZZO AD AMSTERDAM, RIFUGIO PER AMICI PERSEGUITATI, LABORATORIO D’ARTE, CULTURA, AMICIZIA
E LIBERTÀ.