RITRATTO DI ARTISTA IN UN INTERNO
“Le stanze dell’artista” è la storia di una generazione, di un’amicizia, di un’epoca che sembra lontana eppure così esatta, nella definizione perfetta e ossessiva del bianco e nero. Riappare oggi, 35 anni dopo, e si impone per la forza delle immagini e la densità dei significati. È la storia di Pino Musi, fotografo (1958), e Ugo Marano, artista (1943-2011). Entrambi salernitani, si incontrano alla fine degli anni 70, quando la città campana è protagonista di un rinascimento vibrante e multiculturale.
Al centro, la sperimentazione teatrale della rassegna “Nuove Tendenze” che, tra il ’73 e il ’76, anima le estati di Salerno, con l’irruzione di artisti visionari come Judith Malina e Julian Beck, e del loro Living Theatre, Peter Brook, Eugenio Barba e Leo de Berardinis, sotto l’egida di Filiberto Menna e Giuseppe Bartolucci, ferventi sostenitori del teatro d’avanguardia. Ugo Marano è uno degli artisti locali che interviene, con le sue performance, in questo laboratorio di sperimentazione. «Mi incuriosiva la sua presenza, perché lui era una figura un po’ mitologica, grande, alto, con il barbone, camminava sempre scalzo o con i sandaloni ai piedi», ricorda Pino Musi, all’epoca ventenne fotografo autodidatta. Marano, studi all’Accademia del Disegno della Reverenda Fabbrica di San Pietro a Roma, e all’Accademia del Mosaico di Ravenna, è già un mito. Nel 1971 ha creato il progetto “Museo Vivo”, un opificio della ceramica basato su un’architettura “esistenziale”, in un piccolo parco nascosto tra gli alberi. A Cetara, sulla costiera amalfitana, ha la sua dimora in una grotta, e a Capriglia, dove è nato, ha un grande e cadente casolare di famiglia, su più piani. Qui Marano realizza le sue installazioni: misurazioni delle stanze attraverso le sue opere, che diventano un nuovo paesaggio domestico.
«Decidemmo di realizzare insieme un lavoro preciso, sulla misurazione dello spazio, su questo umore lasciato sedimentare dentro a un altro, precedente, legato alla famiglia», ricorda Musi. Il giovane fotografo lavora con il grande formato, con il banco ottico, soltanto con la luce naturale, sviluppando e stampando da sé le immagini. Il casolare di Capriglia, dove l’amico artista inventa sculture di ceramica, ferro, legno, è per
fetto per sperimentare la relazione tra lo spazio e le cose, secondo una precisa drammaturgia, una messa in scena che si anima della luce mediterranea, stemperata nei toni in bianco e nero della stampa. «Decisi che volevo realizzare queste fotografie icastiche, così che la stanza si leggesse tutta, nel rapporto tra i vari oggetti. Le sculture di legno, per esempio, si presentano come un grande coro. Mi interessava molto questo rapporto preciso tra materia, dimensioni degli oggetti e dimensione dello spazio», prosegue. Un percorso di installazioni che rapporta le opere a quel luogo intriso di storia. Le stanze dell’artista, appunto.
«La fotografia di Ugo con il collezionista nella vasca è una sorta di appendice al lavoro sulle “Stanze”. Avevo fatto una serie di ritratti, e mi è venuto in mente di scattare quest’immagine, con lo sguardo divino dell’artista sul collezionista, una sorta di coercizione». Musi, dopo l’incontro con il regista teatrale Jerzy Grotowski (1933-1999) e l’architetto ticinese Mario Botta (un suo intervento è a pagina 112), prosegue le sue ricerche sulla forma e incontra l’architettura. Modalità d’espressione privilegiata è la realizzazione di libri d’artista, come l’ultimo progetto, “Border Soundscapes”, appena edito dalla casa editrice Artphilein, trasposizione visiva di un brano del compositore americano Morton Feldman (1926-1987). Marano, invece, percorre ambiti e linguaggi diversi, espone alla Biennale di Venezia, alla Triennale di Milano, al Centre Pompidou di Parigi, crea l’associazione “Vasai di Cetara” e viene chiamato da Alessandro Mendini (1931-2019) a realizzare due grandi opere per la metropolitana di Napoli. Un artista del nuovo secolo, lo definisce Gillo Dorfles (1910-2018), sintesi perfetta di pensiero e perizia artigianale. Scompare presto, nel 2011, lasciando tanti progetti ancora da realizzare.
«Queste immagini mi fanno rimpiangere quel periodo, le persone, i rapporti, il senso del gruppo. Il lavoro a più mani e il confronto sono ciò che oggi manca di più», conclude Musi. Tra la rottura dell’avanguardia e il fascino per la performance, “Le stanze dell’artista” sono davvero la storia di un’utopia e di una generazione che voleva cambiare il mondo, partendo da Capriglia, frazione di Pellezzano, provincia di Salerno.