VOGUE (Italy)

Il Centro Estetico

«Un po’ di laser ti rimetterà al passo con la specie», dice l’estetista alla protagonis­ta di questo racconto, fresca di separazion­e dal fidanzato e colpevole di essere cosparsa di peli in tutto il corpo. «Magari a te non frega nulla, ma agli uomini sì». S

- artwork di ERIK MARK SANDBERG

Flora si vantava molto delle sue sopraccigl­ia perfette, e mi sgridava perché ero poco concreta. «A me non piace chi non sa impegnarsi», diceva. «Tu sei di quelle che al ristorante ordinano tanto, ma poi, nella vita di tutti i giorni, non sono in grado di pagarsi una bolletta». Aveva ragione. Con i problemi che avevo, il fatto che non avessi ancora visitato il suo centro estetico la sconcertav­a. Flora possedeva macchine, laser e dispositiv­i capaci di amplificar­e la luce ed emettere radiazioni elettromag­netiche nel mio corpo per farmi diventare più liscia, una donna migliore. Avrei dovuto approfitta­rne.

Dopo la separazion­e decisi di andare da lei a farmi ispezionar­e i peli. Ci incontramm­o in un ristorante sul mare per parlarne, ma lei non mangiò. Non amava il cibo. «Niente è più buono che sentirsi magre», disse, citando Kate Moss. Il centro estetico si trovava sulla riva opposta della baia. Sedevamo accanto alla finestra affacciata sulla spiaggia, e la peluria sulle mie braccia brillava al sole.

«Dici sempre che la ceretta alle braccia non ti serve perché i peli biondi ti ricordano l’estate», disse Flora. «Beh, non sono biondi». Mi abbassai le maniche sui polsi, sistemando­mi sulla sedia imbarazzat­a. «Non vedo l’ora di averti per le mani», disse lei con un sorriso mentre succhiavo la testa di un gambero. Chiese se ero emozionata all’idea di cambiare vita. Risposi che non ero certa che una seduta di depilazion­e laser bastasse a cambiarmi la vita, ma Flora mi assicurò di sì. Fissando la mia maglietta aggrottò le sopraccigl­ia. Gli uomini dovevano intristirs­i molto, disse, vedendo il mio corpo. Avrei dovuto provare coi push-up, se proprio non volevo farmi le protesi. Pensai al mio fidanzato e alla sua grande tristezza. Tra i vari motivi per cui mi aveva lasciata c’era che non ero abbastanza pudica. Aveva usato proprio quella parola. Non mettersi il reggiseno, diceva, era estremamen­te volgare, anche se ero piatta e non avevo nulla da reggere. E poi tagliavo malissimo le verdure per i risotti, troppo spesse. Dovevo vedere come le affettava bene sua madre. Una mattina, davanti al bancone della cucina in mutande e calzini, mi aveva mostrato ciò che intendeva. Impugnando un coltello lungo e molto affilato, aveva tagliato la cipolla a fettine sottili come ostie, vantandosi del gusto che avrebbero sprigionat­o in bocca. Quando le affettavo io, aveva tutto lo stesso sapore. I peli sulle gambe e sotto le ascelle, e il fatto che non mi fosse mai venuto in mente di eliminarli, erano ulteriore prova del fatto che qualcosa non andasse. Solo i narcisisti non si depilano, mi diceva: come potevo pensare che uno come lui rimanesse con una donna così pelosa? La verità era che pensavo non se ne accorgesse. Il sesso era una cosa che succedeva al buio, e in genere lui andava dal punto A al punto B senza unire i puntini nel mezzo. Accarezzar­mi le gambe era una formalità d’altri tempi, roba da film con Kim Basinger.

Al ristorante, un raggio di luce illuminò il nostro tavolo. Flora chiuse gli occhi per goderselo, e il suo viso divenne quasi trasparent­e. Aveva le guance talmente piene di botox che baciandole rimbalzavi. Non contenevan­o rughe, né pieghe, né segreti. Flora non era come noi, per essere bella non aveva bisogno di dormire. I suoi occhi brillavano, le palpebre sbattevano a malapena, la fronte era una pista d’atterraggi­o dove avvenivano cose importanti, dove le persone si incontrava­no e decidevano di cambiare in meglio. Era una fronte di cui ci si poteva fidare, e io l’avevo scelta.

Bastò un bicchiere di vino perché finissi in lacrime a parlare di lui. «I peli sono stati determinan­ti», piagnucola­i.

«Non importa», disse Flora trionfante, e per un attimo i suoi grandi ricci cotonati ondeggiaro­no come il mare oltre la finestra. «Per questo sei venuta da me. Gli uomini moderni, le donne di quest’epoca, hanno meno peli. Tu no. Il tuo corpo sempliceme­nte non si è adattato ai cambiament­i evolutivi. Un po’ di laser ti rimetterà al passo con la specie». Mi consegnò la brochure del suo salone. Dentro c’erano le foto di tutta la famiglia Kardashian. Flora usava la stessa macchina che usavano le sorelle, il laser Alexandrit­e.

«È il top», sussurrò elettrizza­ta, sporgendos­i in avanti. «L’energia penetra nel derma in profondità».

«Nel derma, caspita», dissi, rigirando il libretto. Tentai un paragone tra il mio mento peloso e la guancia marmorea di Kim Kardashian, quindi infilai la brochure sotto il piatto unto. Flora mi chiese di raccontarl­e il mio passato follicolar­e. Era una storia complicata.

A nove anni, un compagno di scuola che mi piaceva si sedette accanto a me e disse di non aver mai visto gambe più pelose delle mie. L’indomani rubai il rasoio di mio padre e cancellai dal mio corpo tutti i peli, compresi i pochissimi che già erano spuntati sul pube. Nel giro di un anno avevo il boschetto fitto e le cosce coperte di aghi ispidi e neri. Da vera bambina cresciuta negli anni Ottanta, ero convinta che i peli sulle gambe ti precludess­ero le cose importanti, come mangiare Ferrero

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